Ferve il dibattito sul Recovery Fund e, come in un antico gioco infantile, tutti si esercitano a formulare la proposizione «È arrivato un bastimento carico di…» per indicare i propri desiderata sui fondi europei.

Nessuno sinora ha tuttavia posto una domanda preliminare al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: «Nelle linee guida per la presentazione del Recovery Plan per l’accesso ai fondi del Recovery Fund europeo, come si conciliano le centinaia di progetti d’investimento con l’affermazione finale contenuta nel piano stesso, che recita così: «La riduzione del rapporto debito/Pil richiederà un significativo miglioramento del saldo primario di bilancio dei prossimi anni»?

L’Italia è in saldo primario positivo (entrate maggiori delle uscite, togliendo dal calcolo gli interessi sul debito) dal 1990 ed è una delle conseguenze delle politiche di austerità.

Se a questo aggiungiamo l’ulteriore impennata del debito pubblico dovuta alle risorse messe in campo per fronteggiare la pandemia e il crollo del Pil dovuto alla stessa, delle due l’una: o il nostro Presidente del Consiglio è il più grande mago capitato nella storia dell’umanità o è il solito, un po’ banale, illusionista da festa di paese.

Ma, in attesa di sciogliere il nodo sui poteri del Presidente del Consiglio, suggeriamo qualcosa che si può fare subito, qui ed ora, senza attesa messianica dei futuri fondi europei.

Basterebbe prendere due rapporti scientifici sulla spesa militare e sulla spesa sanitaria, elaborati rispettivamente dalla Rete Italiana per il Disarmo e dalla Fondazione Gimbe.

Scorrendo il primo, si nota il continuo balzo in avanti della spesa militare, che ha raggiunto i 25 miliardi nel 2019 e ne prevede 26 nel 2020 (1,43% del Pil).

Per fare cosa? Missioni militari all’estero (trentasei per un costo di 1,3 miliardi), sviluppo e acquisto di sistemi d’arma (cacciabombardieri F-35, novanta velivoli per 15 miliardi – fregate navali Fremm e portaerei Trieste per 6 miliardi – elicotteri, missili etc…).

Scorrendo il secondo, si scopre come il sistema sanitario nazionale sia stato definanziato (oltre che pesantemente privatizzato e aziendalizzato) per oltre 37 miliardi negli ultimi 10 anni, con un taglio di oltre 43.000 posti di lavoro fra personale medico e infermieristico.

Per ritrovarci come? Totalmente impreparati ad affrontare una pandemia che ha potuto diffondersi grazie all’abbandono della medicina preventiva e territoriale e l’incapacità delle strutture ospedaliere per mancanza di personale, dispositivi e posti letto in terapia intensiva.

Di fronte a questi dati non serve essere mago o illusionista per capire che fare: nell’era del Covid 19 servono soldi per le armi o servono fondi per un servizio sanitario nazionale di qualità in grado di proteggere la salute delle persone?

Potremmo riprodurre la stessa domanda per un’infinità di altre dicotomie: servono soldi per il Tav e le Grandi e meno Grandi Opere inutili e dannose o servono fondi per un grande piano di riassetto idrogeologico del territorio? Servono soldi per autostrade e cemento o per finanziare un’istruzione adeguata, continuativa e degna per milioni di bambine e di bambini?

La confusione regna sovrana e quindi non è detto che ciò che ai più pare logico, tale lo sia anche dentro le istituzioni che governano il paese. Per questo suggeriamo al Presidente del Consiglio un referendum consultivo in cui interpellare le persone con quesiti molto semplici: «Rinuncereste a 5 miliardi di mascherine per avere una portaerei nuova fiammante?»; «Scambiereste 32mila posti letto di terapia intensiva per avere una pattuglia di caccia pronti all’attacco?», e via dicendo.

Forse dare su questo la parola al popolo aiuterebbe chi governa a non doversi fingere Houdini.