Mentre a Roma Renzi fa le consultazioni sulla legge elettorale, a Milano scatta l’allarme rosso. Il paese si avvia verso il voto, l’ex sindaco Pisapia e i suoi di Campo progressista preparano l’incontro della ’nuova casa’ del centrosinistra – probabilmente sarà a Roma il 1 luglio, dopo i ballottaggi – e prendono atto dell’impossibilità persino di un dialogo con il Pd. Ma non vogliono dire il loro sì al “simil-tedesco” che di fatto porterà alle larghe intese. Non a caso alla camera l’incontro fra la delegazione dem (i capigruppo Rosato e Zanda, il relatore Fiano) e quella di Art.1 (Alfredo D’Attorre, Cecilia Guerra, Doris Lo Moro e Francesco Ferrara) è breve e viene riaggiornato a mercoledì. «Il Pd non ha avanzato altre proposte rispetto al contenuto del Rosatellum. Aspettiamo la direzione del Pd di domani (oggi, ndr)», spiega D’Attorre. Il problema non è lo sbarramento al 5 per cento («Sulla questione non abbiamo presentato neppure emendamenti») ma, appunto, sottolineare il no alle larghe intese, conseguenza quasi fisiologica del proporzionale.

PISAPIA NON PARLA direttamente. Ma dal suo quartiere generale viene diffusa una nota molto dura. «Siamo negativamente colpiti dalla convergenza di molte forze, di destra e di sinistra, verso una legge elettorale che condurrà molto probabilmente a un governo di larghe intese di cui questo Paese non ha bisogno e che allontanerà sempre più dall’impegno politico il popolo del centrosinistra», dice, «Non ci interessa l’aggregazione di tutti i piccoli gruppi della sinistra che in comune hanno solo la volontà di superare il quorum della futura legge elettorale», «l’obiettivo non può essere solo superare il quorum elettorale, ma porre le basi per un progetto che guardi al futuro».

Pisapia parla al Pd perché il resto della sinistra intenda. La risposta di Sinistra italiana, che a Renzi ha offerto un sì di massima al proporzionale, invece è diretta: «Neanche io voglio aggregazioni per il quorum, da tempo propongo a tutta la sinistra di mettere in campo una proposta alternativa al Pd di Renzi», replica il segretario Nicola Fratoianni. Per capire bene il senso del botta e riposta però bisogna fare qualche passo indietro.

bertinotti 1

LO SPETTRO DEL 2008 popola gli incubi più neri di chi in queste settimane ragiona di una «coalizione per il cambiamento» (copyright Smeriglio), insomma di una nuova casa comune. La memoria torna all’annus horribilis in cui Veltroni decise che il Pd «correva da solo». Bertinotti, allora leader della Sinistra Arcobaleno, si dichiarò d’accordo alla «separazione consensuale». I risultati sono scolpiti negli annali della sinistra: il Pd perse raggiungendo il massimo storico di voti; l’Arcobaleno fu asfaltato. «Sinistra extraparlamentare» fu il titolo del manifesto.

«IL PIÙ DI SINISTRA SONO IO», dice oggi Renzi ritrovando la vecchia aria da guascone. Chi ci ha parlato sa che il segretario non è affatto preoccupato dalla nascita di una ’cosa’ a sinistra. Anzi: la sua campagna per il voto utile nei collegi sarà implacabile. A preoccuparsi sono gli altri: in parlamento circola un appello per il no alle larghe intese, in molti anche del Pd sono pronti a firmarlo. «Condivido la nota di Campo progressista, dalla prima all’ultima parola. Mi auguro che le diverse componenti del centrosinistra e in particolare il Pd ascoltino le raccomandazioni al fine di aggregare una sinistra frantumata e depressa», commenta il senatore Luigi Manconi. Gli fanno eco Gianni Cuperlo e i verdi di Bonelli e Zabatta. I giovani Marco Furfaro e Mapi Pizzolante, vicini a Pisapia, sono più espliciti: « Le forze di centrosinistra oggi sembrano dividersi tra chi ha l’ambizione di governare con la destra e chi vuole chiudersi in una riserva indiana con il solo scopo di superare lo sbarramento».

In realtà alla fine anche Pisapia non potrà che ’adeguarsi’ al proporzionale. Ma il problema per lui è il profilo della nascente forza comune con Art.1. E quello della lista che si aggregherà sotto la spinta dello sbarramento al 5. «Il punto non è fare fronte contro Renzi, ma mettere insieme le culture riformiste di questo paese. Quelle, per capirci, che sono sfilate a Milano il 20 maggio: sinistra, civismo, ecologismo, cattolicesimo sociale, unite da un progetto realistico e realizzabile», spiega Alessandro Capelli, coordinatore di Campo progressista. «Non basta l’antirenzismo per affermare un progetto politico, serve un’idea di società e una proposta plurale inclusiva, autonoma. La somma delle debolezze dei piccoli partiti di sinistra non ci porterà lontano. Vicende già viste vissute e sconfitte già consumate sul campo», sentenzia Massimiliano Smeriglio.

«IL TEMA È UNA PROPOSTA alternativa a Renzi» taglia corto Nicola Fratoianni. Il segretario di Sinistra italiana ieri ha incontrato il segretario del Pd al Nazareno. All’uscita ha spiegato la posizione del suo partito: «Abbiamo dato parere favorevole ad un sistema elettorale proporzionale, ma senza trucchi». Invece, sui timori di Pisapia, «le larghe intese nascono dalla politica, non dalla legge elettorale».

Quanto alla «proposta alternativa a Renzi», Fratoianni la prepara per le prossime ore. Ma per approssimazioni convergenti proposte del genere circolano ormai da più parti – se ne legge in questi giorni sul manifesto -. Presto arriverà anche quella di un gruppo di «civici» che si stanno radunando intorno a Anna Falcone e Tomaso Montanari, già esponenti di prima fila dei comitati del No.