Che ci trovassimo di fronte a un fenomeno di flussi migratori inarrestabile, perché legato a elementi di natura economica e geopolitica, era chiaro da tempo. Una realtà preannunciata da segnali forti e dati evidenti davanti ai quali i paesi europei hanno preferito chiudere gli occhi. Ancora oggi tutte le soluzioni avanzate ignorano la necessità di una risposta strutturale, che tenga conto del contesto geopolitico delle regioni di partenza, ma anche – dato quasi sempre trascurato – delle esigenze demografiche del nostro continente. Se è vero, infatti, che l’Europa non può certo accogliere un numero infinito di migranti, è altrettanto vero che per stabilizzare la popolazione dell’Ue intorno a 500 milioni di cittadini e far fronte così alla contrazione costante delle nascite in Europa, con l’inevitabile contrazione della forza lavoro, è necessario un flusso annuo che aumenti da circa 2,6 milioni d’immigrati del 2015 a oltre 2,9 milioni del 2020. E’ fondamentale partire da questi dati per costruire politiche efficaci di accoglienza e inclusione sociale, in grado di mettere in moto gli effetti positivi dell’immigrazione nel nostro continente.

Al contrario, sia il dibattito che le misure adottate dai paesi dell’Ue non sembrano considerare questi dati incontrovertibili, né la lunga durata del fenomeno. Neppure l’ombra di politiche strutturali, dunque, mentre si moltiplicano azioni miopi ed inefficaci e reazioni scomposte, mirate solo a sigillare la fortezza del Nord Europa, rosicchiando giorno dopo giorno le fondamenta dell’identità europea.

Anche il Migration compact di Renzi e la proposta dei giorni scorsi della Commissione europea su un partenariato strategico con l’Africa, pure attente al contesto geopolitico di partenza dei flussi migratori, scontano un primo enorme limite: a fronte di dettagliate azioni finanziarie per sostenere investimenti economici nei paesi terzi, strategie di rafforzamento delle frontiere e strumenti di contenimento dell’immigrazione, nessuno spazio – appena qualche riga – è dedicato al consolidamento delle istituzioni e al rafforzamento dello stato di diritto in quei paesi. E ancora, la volontà di esternalizzare le frontiere dell’Ue prevede il ricorso anche a riammissioni e rimpatri verso paesi non sicuri e vere e proprie forzature del diritto d’asilo e di quanto previsto dal diritto europeo e dalle convenzioni internazionali. Ma nessuna traccia di programmi di reinsediamento in Europa per coloro che hanno bisogno di protezione.

Un esempio per tutti: l’accordo concluso con il Niger il 4 maggio scorso prevede in cambio di 75 milioni di euro l’impegno al controllo delle frontiere e soprattutto la riammissione anche di coloro che dal Niger siano transitati per raggiungere la Libia e poi l’Europa, senza nessuna garanzia sul destino di queste persone una volta tornate lì. E non serve andare troppo lontano: lo stesso accordo Ue-Turchia, del tutto inattuato nella parte che prevede il trasferimento in Europa di richiedenti asilo siriani, dopo due mesi permette già di cogliere il meccanismo alla base della strategia europea, e cioè soldi in cambio di migranti di cui farsi carico e nessuno spazio per la dimensione dei diritti umani.

Al presidente del consiglio Renzi, come Radicali chiediamo di correggere intanto il punto di partenza e la rotta della sua ultima proposta. Partiamo da ciò che ci è più caro: la difesa del diritto internazionale e dei principi europei, su cui non si deve arretrare, soprattutto in momenti così complessi e delicati. Rivolgiamoci a quei paesi, legando la crescita economica allo sviluppo democratico perché democrazia e diritti umani e civili vadano di pari passo col progresso economico. Solo così gli accordi di partenariato acquisteranno forza e daranno risultati. C’è il forte rischio, altrimenti, di creare nuovi inferni per migranti finanziati per milioni di euro dal nostro paese. Ostentando o illudendosi di riuscire in questo modo a contenere quelle donne e quegli uomini alle porte della fortezza Europa.

* L’autore è il segretario di Radicali Italiani