Una sentenza politica, la voce del padrone che si è fatta sentire: questi i commenti che giravano ieri tra i lavoratori che speravano nel riconoscimento dei lori diritti. Giulia Druetta è uno dei due avvocati difensori dei sei fattorini che avevano intentato causa a Foodora.

Come spiega questa sentenza di primo grado?

L’avvocata Giulia Druetta

Aspettiamo di leggere le motivazioni, ovviamente. Reputiamo la sentenza sbagliata, visto che apre un varco alle aziende che vogliono prendere un lavoratore alle loro dipendenze ma senza tutele e con retribuzioni bassissime: questo per abbassare il costo del lavoro. Oggi basterebbe una app invece di un datore di lavoro in carne ed ossa affinché leggi e diritti per come le abbiamo conosciute non abbiano valore.

Cosa contestavate?

L’errato inquadramento contrattuale. Questi lavoratori erano organizzati dal datore di lavoro che predeterminava luoghi e tempi, ed erano sottoposti a un pervasivo potere disciplinare. Non si comprende perché l‘azienda non abbia utilizzato la forma del contratto a chiamata, ad esempio, anch’esso un lavoro subordinato, se non con l’obbiettivo di ridurre il costo del lavoro. Il datore di lavoro, inoltre, controllava i lavoratori, dato che erano monitorati minuto per minuto: anche se l’azienda non aveva fornito loro un’adeguata informativa. Emerge un’elusione alla normativa sulla privacy: nessuno sa come sono stati trattati i dati dei fattorini. C’è la sicurezza che siano stati utilizzati per assegnare punteggi e creare classifiche dei lavoratori migliori: ai quali come premio veniva prospettato un contratto vero.

È un comportamento legittimo questo?

Ci sono leggi e regolamenti in ambito nazionale ed europeo. Non è possibile pensare che un lavoratore possa essere geolocalizzato in qualsiasi momento della sua vita. Addirittura l’app si attivava da sola anche quando i fattorini non erano in turno. Questa sentenza purtroppo evidenzia un vizio culturale profondo: l’economia dei lavoretti non meriterebbe tutele. Quindi qualsiasi azienda può impiegare lavoratori per meno tempo e trattarli tutti come autonomi, indipendentemente dalle mansioni e dalle condizioni effettive di lavoro. Spero che questo non sia il futuro che lasciamo alle nuove generazioni.

Solo in Italia abbiamo sentenze di questo tipo?

I giudici inglesi, a Londra, hanno riconosciuto che gli autisti di Uber sono lavoratori subordinati. In Belgio la Commission administrative de règlement de la relation de travail ha stabilito che il rapporto tra un fattorino e Deliveroo non può essere definito come lavoro autonomo, e in Italia, per altro la mansione di fattorino è sempre esistita. Durante il dibattimento è emersa chiaramente la nostra idea di lavoro che è comprovata da quanto riconosciuto da altri tribunali in Europa: ripeto, ritengo la sentenza sbagliata, e attendiamo di capire come sarà motivata.

Come proseguirete?

Impegnandoci per cercare giustizia in secondo grado. La lotta dei fattorini è anche nelle piazze: se un giudice ha deciso di non riconoscere le ragioni dei lavoratori loro continueranno a manifestare contro le aziende che possono scegliere tutto sulle loro vite. Lavoratori obbligati a obbedire, e quando si ribellano vengono estromessi, che in termini tecnici odierni prende il nome di «disconnessi». La perdita diritti del Novecento è sotto gli occhi di tutti: si ritorna al cottimo e all’arbitrarietà del datore di lavoro. È una sentenza ideologica: con il paravento delle nuove tecnologie avanti tutta il neo liberismo.