Un fiume in piena. E’ durato poco il silenzio di Anna Maria Cancellieri, la scelta di non rispondere alle polemiche sollevate dalle sue telefonate con la compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, e dal suo interessamento per le condizioni di salute della figlia dell’ingegnere, Giulia Maria, quando questa si trovava in carcere. Ieri il ministro della Giustizia ha cambiato tattica, forse in accordo con palazzo Chigi che, guarda caso, proprio mentre lei parla fa uscire una nota in cui la difende a spada tratta. «Siamo certi che le argomentazioni che il ministro Cancellieri svilupperà convinceranno le Camere e fugheranno ogni dubbio» fa sapere Enrico Letta, preoccupato dalle possibili conseguenze che il caso potrebbe avere sulla tenuta del governo.
E così, forte della copertura del premier, Cancellieri replica a quanti in questi giorni le hanno chiesto di fare un passo indietro». «Non mi dimetto» dice il ministro, che rivendica «il diritto a essere umana». «Voglio vivere in un Paese in cui l’onestà intellettuale sia un patrimonio condiviso e in cui certamente un ministro è tenuto a rispettare fino in fondo tutti i doveri della sua responsabilità, ma che abbia anche il diritto di essere un essere umano». Il che non le impedisce di aggiungere: «Se poi dovessi essere un peso, me ne andrei».
Martedì alle 16 Cancellieri riferirà in Senato sulle telefonate fatte ai Ligresti per offrire il suo aiuto e della segnalazione fatta al Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, sulle condizioni di salute di Giulia Maria. A comunicarlo è stata ieri lei stessa con una lettera ai presidenti di Senato e Camera Grasso e Boldrini. Ma intanto anticipa quella che probabilmente sarà la sua linea di difesa. E cioè che quello a favore di Giulia Ligresti non è stato un caso di favoritismo per la figlia di amica, ma un intervento simile a molti altri. «Ribatterò a tutte le falsità scritte su di me in questi giorni», confida ai suoi collaboratori, ai quali chiede di raccogliere tutte le segnalazioni che da quando siede al ministero di via Arenula le sono giunte per telefono o per iscritto, ma anche di persona da parte di parenti o autorità sulle condizioni critiche di qualche detenuto. «Sono intervenuta in 110 casi», dice.
Per la sua difesa il ministro sceglie il congresso radicale a Chianciano dove interviene sulle carceri. Parla in un ambiente che sa amico, ben conoscendo la sensibilità della platea alle condizioni di vita e di salute dei detenuti. Tanto che Marco Pannella la difende definendo le polemiche contro di lei un «tentativo di linciaggio del tutto immotivato». «Sono serenissima», spiega Cancellieri ai giornalisti. «Il mio è stato un intervento umanitario, mosso da un detenuto che poteva morire. Se fosse morta cosa sarebbe accaduto?». Paragona Giulia Ligresti a Marco Biagi, il giuslavorista ucciso nel 2002 dalle nuove Br dopo che gli era stata tolta la scorta. «Vi ricordate il caso?». «Se Giulia Ligresti si fosse uccisa, e io ero al corrente delle sue condizioni, non sarei stata responsabile della sua morte, della morte di una madre con dei bambini?». E alla fine liquida con una battuta le polemiche sul figlio Piergiorgio Peluso e sulla liquidazione avuta alla fine del suo lavoro alla Fonsai di Ligresti: «Se a lei facessero firmare un contratto che le dà diritto ad una buonuscita qualora dovesse andarsene, lei lo firmerebbe?», chiede a un cronista.
Basteranno queste spiegazioni? Che la strada per archiviare il caso sia ancora tutta in salita, lo dimostrano le fibrillazioni ancora ieri presenti nel Pd. «Noi siano i primi a non accettare facili strumentalizzazioni della vicenda, ma allo stesso modo non ne consentiamo una sua minimizzazione», dice Danilo Leva, responsabile Giustizia dei democratici che da due giorni chiede chiarimenti al ministro. Che a sua volta replica: «Io non ho problemi né a spiegare né a non minimizzare». Da parte sua il M5S anche ieri ha attaccato Letta e Napolitano per il loro silenzio (prima che il premier intervenisse), accusandoli di tacere sul caso Cancellieri «per paura di essere travolti». Pdl, infine, diviso nel giudizio sul ministro ma unito nel paragonare il caso Ligresti alla telefonata fatta da Berlusconi in questura a Milano per Ruby.