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Non fiori ma gol alla Juve

Non fiori ma gol alla Juve

Il colonnino infame Da ragazzo abitavo coi miei genitori a Napoli in via Scipione Capece 3, stradina solitaria, silenziosa e piena di cacche di cani sulla collina di Posillipo...

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 28 novembre 2020

Da ragazzo abitavo coi miei genitori a Napoli in via Scipione Capece 3, stradina solitaria, silenziosa e piena di cacche di cani sulla collina di Posillipo… solitaria e silenziosa fino al 5 luglio 1984 quando in via Scipione Capece 3/a venne a stare di casa Diego Armando Maradona! Da quel giorno, a parte le cacche dei cani, niente fu più come prima. In primo luogo per me che in quanto «quello che abita di fronte a Maradona» godevo tra i miei amici di fama riflessa: «Enri’, oggi l’hai visto a Diego? Enri’, allora Diego che dice?». In effetti lo vedevo quasi tutti i giorni: quando usciva scortato da quel ciccione claudicante del suo compariello di barrio promosso procuratore, Jorge Cyterszpiler; attraverso le vetrate del salotto che litigava con la bionda, infelice Claudia; sul balcone di casa che cazziava il fratellino Ughito beccato a fumare in bagno; un paio di volte addirittura dritto nelle palle degli occhi: io sul vespino, lui contromano a tutta birra col Ferrari che a momenti mi butta sotto. Diego e io avevamo poi lo stesso portiere, non il numero 1 del Napoli, Garella, ma il simpatico don Nicola, il guarda-porte di entrambe le palazzine che gli consegnava la posta personalmente (sempre dopo che insieme avevamo letto tutte le sue cartoline). Non c’era giorno poi che «paranze di bambini» non calassero in pellegrinaggio per cantare: «abbàlla ‘o tang’ ‘miezz’e cosce ‘e Maradona/ ca’ t’imbriaca e sì chiammato provulon’…» (balla il tango tra le gambe di Maradona/ che ti confonde e fai la parte del provolone).

Ma Diego non era simbolo di riscatto solo per gli scugnizzi dei Quartieri o di Forcella, lui stava riscattando tutti i napoletani: «Maradona si’ megli’ è Pelè/ ci amm’ fatt’ ‘o mazz’ tant’ pe’ t’avè!» (abbiamo tanto sudato per averti), «Maradona piènzace tu/ lievancìll’ ‘e schiaff’ a faccia e’ sta città!» (leva tu gli schiaffi dalla faccia di questa città!). Altro che Giustino Fortunato e Antonio Gramsci, per affrontare alla radice la questione meridionale ci voleva «el pibe de oro» con due scudetti, coppa Italia, Coppa Uefa e Supercoppa. Poi vidi coi miei occhi quei ceffi patibolari che a notte fonda venivano a prelevarlo per i festini nel covo dei fratelli Giuliano e Diego salire ormai sulle auto blindate con la morte in faccia. La fine è nota: reso dipendente e schiavo da orrendi criminali che aveva ingenuamente scambiato per romantici «guapos», a Maradona non restò che tagliare la corda. E gli schiaffi che la «mano de Dios» aveva levato dalla faccia della città, ci furono restituiti dalla camorra con interessi da strozzinaggio.

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