«Sento una tristezza, un vuoto non esprimibile a parole. É una perdita che va al di là del semplice lavoro perché Luca Ronconi rappresentava molte cose e ho la sensazione di un silenzio, quasi della fine di un’epoca».Il dolore di Fabrizio Falco, a pochi giorni dalla morte del regista, è ancora incapace di essere verbalizzato: «Era un uomo che incarnava tante cose per me: un maestro, una figura paterna, un riferimento assoluto». Restano i ricordi e la malinconia delle giornate estive per questo attore messinese, scoperto dal grande pubblico con Bella addormentata di Marco Bellocchio, che gli fruttò, a Venezia nel 2012, in premio Mastroianni come miglior esordiente.
Fabrizio Falco è uno dei protagonisti dell’ultimo spettacolo di Ronconi Lehman Trilogy e nonostante la giovane età, appena 26 anni, ha partecipato ad altri spettacoli del regista conosciuto quando era ancora studente all’accademia Silvio D’Amico: «Ho avuto la fortuna di incontrarlo quasi alla fine dei miei studi e abbiamo subito iniziato un lavoro su Pirandello e sui Sei personaggi in cerca d’autore. Lo facevamo tutte le estati a Santa Cristina, il suo centro teatrale di Gubbio».

Come si approcciava Ronconi con allievi e attori così giovani?

Non ha mai fatto distinzioni fra un allievo, un attore giovane o uno grande, ha sempre trattato tutti allo stesso modo. La sua «richiesta» era invariata, esigeva le stesse cose e ti faceva capire che la differenza era soltanto anagrafica. Per lui la dignità di un professionista cominciava fin da subito e non è una cosa scontata perché molto spesso, per questioni di gerarchie, i giovani attori sono relegati a un rango inferiore. Ho avuto la fortuna di conoscerlo nella sua vera dimensione, quella di Santa Cristina, dove era libero di lavorare come voleva e di esplorare le cose fuori dalle esigenze della messa in scena, in uno spazio laboratoriale dove un attore cresceva anno dopo anno.

Il tuo primo spettacolo con Ronconi, «Sei personaggi in cerca d’autore», risale al 2012. Come si è sviluppato in seguito il vostro rapporto professionale? 

Dopo Pirandello sono arrivati spettacoli come Il panico e Celestina ma non ho la presunzione di dire di averlo conosciuto bene anche se, attraverso il lavoro, ti dimostrava il suo affetto e la sua umanità. Per lui il lavoro e la persona erano un tutt’uno e lo manifestava attraverso i personaggi che ti donava. Mi ha dato fiducia, mi ha regalato ruoli belli e importanti e mi ha mostrato come oltrepassare i limiti che pensavo di avere. La sua sapienza era unica e spero che qualcuno raccolga il testimone cercando di riportare almeno la sua dedizione al teatro.

Da domenica scorsa, «Lehman Trilogy» è orfana del suo regista. Come avete affrontato questi giorni traumatici? 

Quella di domenica è stata una replica difficilissima ma allo stesso tempo «bella» perché per noi attori, come abbiamo detto agli spettatori prima dello spettacolo, è l’unico modo che abbiamo per onorarlo, e il pubblico ha risposto con calore e commozione. Non so se a lui farebbe piacere ma credo che dovrebbe esserci un’iniziativa dall’alto, ad esempio un minuto di silenzio in tutti i teatri, un segno insomma che faccia capire la grandezza di questo artista. Abbiamo perso il più grande regista italiano e sarebbe doveroso omaggiarlo, al di là dei pareri personali, perché Luca Ronconi è stato odiato da tanti, da gente che non comprendeva al di là del proprio gusto che la sua genialità era indiscutibile.