Non è un gioco per giovani Wolfenstein II: The New Colossus. Non tanto per il suo essere destinato, secondo il codice di autoregolamentazione PEGI, ad un pubblico da 18 anni in su (dato che trattasi di uno sparatutto realistico), quanto per il mood ed il feeling che gli sviluppatori svedesi di MachineGames hanno voluto conferirgli, approfondendo quanto già narrato nel precedente Wolfenstein: The New Order (entrambi pubblicati da Bethesda Softworks). Il protagonista, William “B.J.” Blazkowicz, che in The New Order, dopo una terribile battaglia per impedire che le armate naziste s’impossessassero di tecnologie in grado di far loro vincere la guerra, si era risvegliato dopo un coma di 14 anni per ritrovarsi in un mondo sotto il dominio del Reich e in cui l’unica cosa “umana” da fare era uccidere i nazisti che minacciavano l’infermiera Anya, la persona che con le proprie cure l’aveva mantenuto in vita e fatto sì che riacquistasse lucidità e forze. Lo ritroviamo ora, B.J, in questo nuovo episodio, all’alba degli anni ’60, ormai cinquantenne, in attesa di due gemelli da Anya, e di nuovo in coma, sull’enorme sottomarino sottratto alle forze naziste a costo però quasi della vita. Stavolta B.J. resta incosciente “solo” cinque mesi, ma al risveglio si ritrova per l’ennesima volta di fronte alle truppe naziste che, complici soldati rintanatisi in una sezione segreta dell’enorme sottomarino atomico, individuano ed attaccano il rifugio mobile della Resistenza “Circolo Kreisau”. Solo che stavolta, se lo spirito è indomito come sempre, il fisico ormai è provato e lo costringe a girare a caccia di nazisti per il sottomarino in sedia a rotelle. La mobilità B.J. la ritroverà ben presto, ma solo indossando una speciale tuta corazzata precedentemente utilizzata da Caroline Becker, quando Caroline, amica di B.J. e capo della Resistenza, viene sadicamente uccisa davanti ai suoi occhi dalla crudele e perversa comandante nazista Frau Engel. B.J. riuscirà a sfuggire ai nazisti ed a liberare il sottomarino, a salvare altri membri della Resistenza (principalmente le persone di colore, considerate subumani dall’ideologia nazista), a distruggere un alto comando nazista negli Stati Uniti. Il tutto solo per ritornare dolorosamente alla propria storia personale: un bambino cresciuto da un padre razzista e violento, marito di un’ebrea solo per i soldi portati in dote dal suocero. E che dopo la capitolazione degli Stati Uniti al regime nazista trova estremamente conveniente consegnare alle forze di occupazione prima la moglie e, quando ne ha l’opportunità, pure il figlio, considerato pericoloso ribelle.

Alla fine la storia di Wolfenstein II: The New Colossus è quella del parricidio necessario ad essere se stessi. Un parricidio che B.J. è costretto a compiere contro qualsiasi valutazione di convenienza: la salvezza del suo drappello di rivoluzionari, la sicurezza della sua donna e dei suoi figli, la sua stessa vita – pure minata da scontri e ferite, tanto da dargli la certezza di non sopravvivere abbastanza da riuscire a veder nascere i figli. Il gameplay, coinvolgente e impegnativo, richiede un approccio ragionato ed il più possibile stealth alle missioni dato che – anche in considerazione delle precarie condizioni fisiche del protagonista – la barra della salute non sale sopra al 50%. Abbiamo a disposizione la possibilità di impugnare due armi contemporaneamente e di utilizzarne di devastanti come il LaserKraftWerk o l’Ubergewehr, ma questo non significa praticamente mai la possibilità di gettarci a testa bassa nella mischia, anche perché – seguendo il modello del precedente episodio – ben protetti dai soldati ci sono gli ufficiali, in grado di dare l’allarme e chiamare rinforzi. Il gameplay riflessivo a cui è spinto il giocatore è l’esatto contrario rispetto al forsennato “corri-e-spara” di un qualsiasi sparatutto che abbia nel multiplayer (in Wolfenstein II del tutto assente) la sua modalità principale. Per questo non piacerà ai più giovani, a quelli che prediligono nel gioco l’aspetto “muscolare” e “sportivo”. Occorre piuttosto immedesimarsi anche emotivamente nel protagonista per immaginare la sua angoscia nel ritrovarsi adulto, anzi già avviato verso la vecchiaia, in quello che da ragazzo avrebbe immaginato essere l’inferno: il mondo ideale di suo padre. Un mondo in cui i nostri figli dovranno vivere forse privi della nostra protezione e guida.

La conclusione la riserviamo per segnalare un gioiellino nascosto all’interno di Wolfenstein II: tutto intero l’originale Wolfenstein 3D (che anticipa di un anno nel 1992 il più famoso DOOM, entrambi sviluppati da ID, e considerati i capostipite del genere “sparatutto in prima persona”) immaginato però come se gli sviluppatori fossero vissuti nel mondo ucronico di Wolfenstein: l’eroe è un baldo soldato nazista che si deve fare strada tra livelli zeppi di cattivi ribelli del Circolo Kreisau per arrivare infine a sconfiggere il boss finale, il terribile terrorista William B.J. Blazkowicz.