I figli, anche se ampiamente maggiorenni, conservano in se stessi uno zoccolo duro tenacemente ancorato all’infanzia. È quella parte interiore che continua a considerare una mamma la mamma e una nonna la nonna, nel senso che da loro si aspettano l’accudimento amorevole e la disponibilità quasi assoluta. Il fenomeno si manifesta in particolare negli autoinviti a pranzo o a cena con scarso o nullo preavviso. Se le suddette genitrici o progenitrici amano tenere il frigorifero fornito, spignattare e sono disponibili a cambiare all’improvviso i propri programmi, figli e nipoti sono ben felici di approfittarne. D’altra parte, a chi non piacerebbe poter alzare il telefono e sapere che dopo mezz’ora puoi sederti a tavola come al ristorante, ma senza pagare?

ECCO, io non sono una madre così, se so di essere sola per alcuni giorni le mie provviste si riducono all’osso, per me al massimo cuocio una pasta o un po’ di riso e in estate mangio quasi solo frutta. Cucinare per me stessa mi annoia, mi piace farlo solo per gli altri ma dietro preavviso e ho scoperto che molte mie amiche si comportano allo stesso modo. Per tutte queste ragioni so di essere considerata da mio figlio una madre un po’ stramba, e negli anni se n’è fatto una ragione. Abbiamo raggiunto un buon compromesso con i pranzi domenicali saltuari, nel senso che a me fa piacere invitarlo e cucinare quando i reciproci impegni lo permettono, e quindi non ogni santa domenica. Lui arriva felice di trovare la tavola pronta e imbandita, a me va bene fare la mamma cuciniera a singhiozzo. Sulla nonna invece la cosa si complica perché mia madre, benché non abbia mai avuto l’ambizione di trascorrere metà della giornata fra le pentole, vi è stata costretta dalle circostanze suo malgrado.

È FINITA che ha trasformato quell’avversione in un’abitudine, tant’è che figli e nipoti sanno che da lei c’è sempre qualcosa di buono da mangiare e per questo si permettono di annunciare il proprio arrivo con pochissimo anticipo anche se abitiamo quasi tutti a decine o centinaia di chilometri di distanza. L’altro giorno però anche lei ha avuto un’impennata di ribellione. Il nipote voleva andarla a trovare. La chiamo per chiederle se preferisce che arriviamo il sabato o la domenica e lei risponde:«Quando volete, ma a una condizione. Questa volta non ho niente di pronto e non ho voglia né di andare a fare la spesa né di cucinare». Sono stata orgogliosa di lei. Chiamo quindi mio figlio per riferirgli il messaggio ed ecco la sua reazione spontanea e immediata: «Ma non è un comportamento da nonna!». Mi è venuto da ridere e gli ho risposto:«Anche le nonne scioperano». E lui. «Ma lei non ha mai fatto così». E io: «Non è mai troppo tardi. Vuol dire che stavolta pranzeremo fuori». Ha dovuto abbozzare e alla fine eravamo tutti contenti di ritrovarci sotto il pergolato di una bella trattoria sulle colline. Ecco, vorrei dire alle amorevoli nonne che non è disdicevole incrociare le braccia quando non si ha voglia di prendersi cura di figli e nipoti, anzi è salutare per se stesse e per loro. Penso che il welfare della patria si appoggi un po’ troppo sulla parentale disponibilità all’accudimento, anche perché i discendenti, poi, finiscono col darlo per scontato e guarda caso il peso finisce quasi sempre più sulle spalle delle donne che degli uomini. Per quel che mi riguarda, ho già annunciato a mio figlio che, semmai avessi dei nipoti, non mi farò mai chiamare nonna, ma solo con il mio nome. Mi ha guardato stortissimo e mi ha detto: «Non sei normale». Gli ho risposto: «La normalità è un’opinione».

mariangela.mianiti@gmail.com