La vicenda di Rasmus Paludan, estremista di destra dalla doppia cittadinanza danese e svedese, noto per le sue eclatanti azioni anti-islamiche e anti-immigrazione, si arricchisce di un nuovo capitolo. Risale a febbraio scorso il suo ultimo tentativo, poi fallito, di organizzare una manifestazione per bruciare copie del Corano fuori dalle ambasciate turca e irachena a Stoccolma. All’epoca, la notizia che Paludan fosse stato aiutato finanziariamente da un giornalista vicino al partito di estrema destra dei Democratici di Svezia aveva creato non pochi imbarazzi al governo conservatore, la cui sopravvivenza dipende proprio dall’appoggio esterno dell’estrema destra in parlamento.

La polizia svedese, memore delle proteste – sfociate in alcuni casi in episodi di violenza – che simili azioni avevano provocato l’anno precedente, negò l’autorizzazione alle iniziative di febbraio, motivando il provvedimento sulla base dei rischi per l’ordine pubblico. Due giorni fa, il tribunale amministrativo si è espresso sul ricorso presentato – probabilmente da Paludan stesso – contro quella decisione, smentendo l’interpretazione estensiva utilizzata dalla polizia. Per disciplinare i limiti al diritto di manifestazione costituzionalmente garantito, ricordano i giudici, servono provvedimenti di legge espliciti: per ora, nessuna legge vieta di bruciare in pubblico un testo sacro.

La decisione del tribunale riapre un dibattito spinoso che interseca diverse questioni di attualità in Svezia: dalla definizione della “libertà di espressione” e dei suoi incerti confini, ai toni xenofobi e spesso islamofobi che pervadono il dibattito pubblico e che ispirano politiche sempre più restrittive sull’immigrazione e l’integrazione, non solo a destra. Tuttavia, nonostante la polarizzazione crescente, un sondaggio pubblicato pochi giorni fa dall’istituto Ipsos e il quotidiano Dagens Nyheter mostra orientamenti più sfumati. Se da un lato l’opinione pubblica sostiene nettamente il diritto di espressione e di satira anche esplicitamente antireligiosa, una maggioranza trasversale (il 51% del campione) si dichiara favorevole a un divieto che impedisca di bruciare in pubblico testi sacri: solo l’elettorato dell’estrema destra fa eccezione.

Soprattutto, la vicenda di Paludan – che da marzo è a sua volta indagato per incitamento all’odio razziale – è al centro dell’attenzione nel contesto dell’accidentato percorso di adesione della Svezia alla Nato, per ora in stand-by a causa delle mancate ratifiche turca e ungherese. Mentre Paludan dichiara ai media di voler bruciare copie del Corano per protestare contro l’atteggiamento di Erdogan, da parte sua il governo turco, dopo aver richiesto un cambio di atteggiamento nei confronti delle organizzazioni e dei rifugiati curdi, utilizza ora astutamente una questione di politica interna svedese per porre nuove condizioni.

Ieri, al termine di una riunione della Nato, il ministro degli esteri turco Cavusoglu ha ribadito che saranno necessari ulteriori passi – non meglio specificati – da parte del governo svedese in materia di lotta al terrorismo, e ha commentato la sentenza favorevole a Paludan paragonando la situazione a quella della Germania nazista e dei suoi roghi di libri. Un rompicapo di difficile soluzione per il governo di destra guidato da Ulf Kristersson, già in difficoltà sul fronte interno dell’economia e dell’inflazione.