«Non ci interessa soccorrere il governo, ci interessa accogliere delle persone». Il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), che si farà carico di ospitare una decina dei migranti salvati in mare dalla Sea Watch (probabilmente i nuclei famigliari con i bambini, ma «siamo in attesa di notizie dalle autorità», fanno sapere dalla Fcei), lo dice chiaro: l’iniziativa di evangelici e valdesi italiani non è un abbraccio al trio Conte-Salvini-Di Maio ma ai migranti lasciati in mare per più di due settimane da un’Europa che chiude i porti e alza i muri.

Del resto è scritto chiaramente nel «Manifesto per l’accoglienza» che Fcei e valdesi hanno approvato l’estate scorsa e affisso in tutte le loro chiese e strutture presenti in Italia: «Respingiamo la falsa contrapposizione tra accoglienza degli immigrati e bisogni degli italiani. Denunciamo la campagna politica contro gli immigrati e i richiedenti asilo. Ci opponiamo alle politiche italiane ed europee di chiusura delle frontiere, di respingimento e di riduzione delle garanzie di protezione internazionale dei richiedenti asilo. Crediamo nella necessità dell’integrazione degli immigrati in una società accogliente, capace di promuovere l’incontro e lo scambio interculturale nel quadro dei principi della Costituzione».

Pastore Negro, come sono andate le cose?
Siamo impegnati da anni nel progetto dei corridoi umanitari e solidali con le Ong che effettuano operazioni di salvataggio in mare. Abbiamo una partnership con Open Arms, a cui forniamo operatori e contributi economici. Prima di Natale abbiamo firmato un accordo con Sea Watch per le attività degli aerei che sorvolano il Mediterraneo per monitorare la situazione di eventuali naufraghi. Quindi seguiamo la vicenda dall’inizio, tanto che la vicepresidente della Fcei, Christiane Groeben, faceva parte della delegazione internazionale che il 4 gennaio è salita a bordo della Sea Watch per rendersi conto delle condizioni dei migranti e per chiedere una soluzione. Come Fcei, insieme anche alla Diaconia valdese, abbiamo comunicato al ministero degli Esteri la nostra disponibilità ad accogliere i migranti delle due navi, senza oneri per lo Stato, utilizzando i fondi dell’otto per mille e le donazioni di alcune Chiese estere, soprattutto tedesche. E mercoledì sera siamo stati contattati da Palazzo Chigi.

È un soccorso al governo?
No, non è per niente un soccorso al governo, nel quale tuttavia abbiamo verificato che esistono sensibilità diverse. Da parte nostra c’è disponibilità al dialogo con chiunque, purché l’apertura e la volontà di dialogo sia reciproca.

Di cosa si tratta allora?
Non ci interessa dare una mano al governo, che abbiamo più volte criticato. Vogliamo invece dimostrare l’assurdità dell’alternativa posta dal ministro dell’Intero che afferma: «corridoi umanitari sì, salvataggi in mare no». Se si accoglie, lo si fa su tutti i fronti. Distinguere fra casi e situazioni è assurdo. Con la nostra iniziativa affermiamo concretamente di fare accoglienza sia attraverso i corridoi umanitari sia con il salvataggio in mare dei migranti.

Il problema non nasce con Salvini e Di Maio…
Ovviamente è più antico, riguarda anche il governo precedente. Ma anche lì le posizioni non erano tutte uguali: c’era Minniti, ma c’era anche Gentiloni, grazie al quale è stato possibile dare l’avvio all’esperienza positiva dei corridoi umanitari.

Ad agosto c’è stato il caso della nave Diciotti, ora la Sea Watch e la Sea Eye, domani ci sarà una nuova “emergenza”. Come se ne esce?
Sicuramente non usando la questione immigrazione e i migranti in modo strumentale e populista. La soluzione non è passarsi il cerino da uno Stato all’altro. E nemmeno quella di andare in Polonia a cercare alleanze fra sovranisti. Dalla situazione non si esce facendo proclami di sovranismo. Se ne esce tutti insieme, con una soluzione europea. Per quanto riguarda l’Italia superando leggi sbagliate, come la Bossi-Fini e adesso alcune parti del decreto sicurezza. In generale con una profonda revisione delle politiche di accoglienza, in Italia e in Europa, dove una politica dell’accoglienza non esiste.