Come federalista ed ecologista, mi ha sempre infastidito che la Lega avesse scelto come suo colore il Verde, in omaggio a quello della pianura padana, ormai talmente cementificata da essere a malapena visibile. La loro idea tribale del federalismo è in contrasto con la sovranità condivisa e unita nella diversità propria del federalismo europeo, che ha come simbolo una E in campo verde. E naturalmente, il Verde, simbolo da sempre di pienezza e serenità, è diventato l’ovvia scelta per i movimenti ambientalisti, che insistono sull’armonia possibile fra natura e genere umano, sulla valorizzazione del “femminile” e sulla necessità di un cambio radicale di modello produttivo e sociale per governare il clima impazzito e rilanciare l’economia. Nulla di più lontano dall’ideologia xenofoba, produttivista, maschilista della Lega, alla quale sarebbe molto più appropriato abbinare un bel nero, come a tutti i suoi amici di estrema destra in Europa. Salvini a Pontida ha peraltro varato il “blu” come sua nuova scelta cromatica.

Faccio dunque un amichevole appello affinché si smetta di chiamare l’attuale alleanza di governo “giallo-verde”! Lungi da essere banale, la discussione cromatica rimanda all’identità ideologica, elemento da sempre presente, anzi invadente, nel dibattito soprattutto a sinistra in Italia; si ripropone rispetto al governo in carica, con la sua opera di smantellamento di valori comuni, dall’universalità dei diritti umani e sociali all’apertura al mondo; ma anche di fronte al duro scontro al suo interno su temi come le grandi opere, la politica energetica, l’ambiente; scontro che riporta alla ribalta, pur se in modo spesso inconcludente e approssimativo, e quindi rischioso rispetto all’obiettivo di cambiare veramente le cose, battaglie che come ambientalisti non siamo mai riusciti a vincere davvero.

Ma davanti all’impatto potenzialmente devastante di un avamposto “mediterraneo di Visegrad”, per di più a rischio bancarotta, non basterà lo sforzo di portarle avanti cercando di fare esplodere la contraddizione tra un approccio “verdeggiante” e l’indifferenza su valori e diritti dei 5S al governo. Da qui, l’interesse a livello europeo e nazionale a partecipare a un mescolamento utile di “colori” di progresso e libertà; e ai molteplici appelli all’unità sul fronte europeista, libertario e di sinistra che giustamente si vanno diffondendo per costruire un’alternativa; ma per evitare laceranti discussioni fra leader (tutti maschi peraltro) e lotte già viste su chi ha colpa di cosa, al posto di un indistinto “vogliamoci bene” è necessario organizzarci in una sana “geometria variabile”, capace di mobilitazioni unitarie e differenziazioni feconde.

Prendiamo ad esempio la grande sfida delle elezioni europee. Questa volta, la posta in gioco è altissima. Bisogna impedire che il Ppe vinca di nuovo e magari si saldi con il fronte sovranista. La riconquista di una parte importante del 50% di elettorato che non vota è perciò indispensabile. Con un sistema proporzionale e la sciagurata soglia di sbarramento del 4% voluta da Veltroni, dobbiamo resistere sia all’eccessiva frammentazione che alla tentazione di un listone unico, organizzando una offerta elettorale plurale, rappresentativa, europeista, in grado di toccare il maggior numero di elettori possibile. In questo contesto, i Verdi europei sono pronti ad offrire la forza di una famiglia politica trasnazionale, molto coesa e autonoma, forte di numerosi successi al parlamento europeo, con partiti membri in crescita in molti paesi, aperta e flessibile.

Penso sia possibile avanzare anche in Italia sul percorso di una convergenza che unisca forze e partiti ecologisti, femministi, federalisti, civici, progressisti e di sinistra, magari non concentrati prioritariamente su una definizione identitaria e di schieramento, bensì interessate ad agire con altri su alcuni temi qualificanti, dal Green New deal, a un nuovo contratto sociale, alla società aperta, ai diritti, al valore di una leadership femminile e femminista, a una profonda riforma della Ue senza tentazioni anti-euro; diversa dunque dal Pd con i suoi patemi, che speriamo vengano risolti con un deciso cambio di passo e di leadership e dai quali è bene stare alla larga; ma distinta anche dall’area frastagliata di una sinistra “radicale” tormentata dal suo rapporto con il Pd e in parte attratta dalle sirene anti-euro e sovraniste di Melenchon.

Questa secondo me è la strada da percorrere adesso. Sulla base di un calendario di iniziative e azioni comuni e aperte che sono, ora più che mai, possibili e urgenti.