In una Biennale costruita sulla dualità delle esposizioni, sulla ricerca delle giuste distanze tra spasmi di novità e museificazione, risalta come un ebollitore in funzione la capacità progettuale di alcuni «curatori» di inserire le proprie proposte all’interno stesso del reticolo artistico della città. In tal modo, Venezia assume le sembianze di un gigantesco contenitore di emotività estetiche: lo scambio diventa anche commercio di poetiche e relazioni tra luoghi che di volta in volta vengono ridefiniti dalle opere d’arte esposte. Insomma, un «site-specific» espanso in cui è facile perdersi e ritrovarsi. Capita così che due ricercatori torinesi, Alessandro Carrer e Bruno...