«L’Unità ha un mese di vita: se entro la fine di luglio non si manifesterà un’offerta di acquisto solida, credibile, che salvaguardi la testata e i suoi lavoratori, il fallimento non sarà più un rischio ma una certezza». Una giornata drammatica, quella di ieri, per i giornalisti e i poligrafici del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, come è «drammatico», secondo quanto riferito dal Cdr, il quadro emerso dall’incontro che le rappresentanze sindacali hanno avuto con il collegio di liquidatori nominati il 12 giugno scorso dalla società editrice Nie per «massimizzare il valore degli asset societari» e scongiurare il fallimento. Per questo i giornalisti, che da due mesi non firmano gli articoli, e tutte le altre maestranze del giornale hanno proclamato per oggi una giornata di sciopero. Domani l’Unità non sarà in edicola.
«Noi abbiamo un mese di vita, voi non avete più alibi», è l’esortazione rivolta ai lettori nel comunicato che appare questa mattina sulla prima pagina dello storico quotidiano. «Non li ha il socio di riferimento Matteo Fago, che è venuto meno agli impegni presi con i dipendenti, mettendo anche a rischio la continuità aziendale. Ma non hanno più alibi neanche gli altri soci della Nie, Renato Soru, Maurizio Mian e Maria Claudia Joannucci, che negli anni hanno contribuito alla dismissione del giornale, con scelte scellerate». Infatti, secondo quanto pubblicato qualche giorno fa su Italia oggi, i liquidatori avrebbero ritenuto poco concreta l’ultima proposta di affitto o acquisto della testata formulata da Matteo Fago attraverso la newco «Editoriale 90». «Incompleta» e «embrionale», l’avrebbero definita, perché troppo generica e senza un piano industriale.

Nelle settimane scorse, secondo alcune indiscrezioni, Fago avrebbe fatto naufragare l’ipotesi di un’operazione a tre, con Maurizio Mian e i costruttori milanesi Pessina, perché inaccettabile, per il fondatore della casa editrice “fagiolina” L’asino d’oro, finire confinato a socio di minoranza.

«Non c’è più tempo da perdere: bisogna agire ora», scrive il Cdr. Eppure Renzi, che il 14 giugno scorso, durante l’assemblea del Pd, aveva trovato nel «matrimonio tra l’Unità ed Europa» che «s’ha da fare» l’unico modo di salvare entrambe le testate giornalistiche vicine al partito, ora tace. «Non solo Renzi, ma anche Bonifazi (il tesoriere del Pd, ndr) ha detto che si sarebbero spesi per facilitare questa soluzione dell’accorpamento, che poi corrisponde anche a un senso comune, ha una sua logica, anche perché sono due testate complementari, nella dialettica interna al Pd – risponde al manifesto Stefano Menichini, direttore di Europa – ma che io sappia nessuno ci sta lavorando».

I lavoratori de l’Unità rivendicano invece «con orgoglio di aver combattuto in difesa non solo dei posti di lavoro, ma per la vita di quello che resta un grande giornale della sinistra». «Abbiamo garantito la presenza in edicola del giornale anche senza ricevere da mesi gli stipendi – si legge nel comunicato del Cdr – La redazione ha rinunciato per quasi due mesi a firmare gli articoli. Oggi entriamo in una nuova fase, sapendo che il tempo ci è nemico. Domani il giornale non sarà in edicola, e martedì prossimo organizzeremo a Roma un incontro pubblico a sostegno della nostra battaglia di libertà. Agli organizzatori delle Feste dell’Unità chiediamo uno spazio per denunciare la situazione del giornale e raccontare il senso della nostra lotta. Mentre si organizzano le Feste dell’Unità si sta prefigurando “la festa all’Unità”. Noi – concludono i cronisti – faremo di tutto perché ciò non avvenga. E voi?»