Toc toc, c’è nessuno? Silenzio. Il giorno dopo tutto tace, tutti tacciono. Ha bisogno di tempi più lunghi la metabolizzazione di una bella botta che costringe tutti ad un’autocritica senza peli sulla lingua per cercare di rimettersi in piedi. La riflessione collettiva è appena cominciata, ma ancora solo a microfoni spenti. Comprensibile. Anche se un po’ stupisce questo silenzio visto che le “cose” attorno cui il “movimento” si trova costretto a ragionare erano già state ampiamente previste. Da tutti, nel dettaglio. Rispettiamo i tempi un po’ troppo analogici delle liturgie assembleari.
Dopo il primo vero “riot” della modernità che ha sconvolto la giornata inaugurale dell’Expo – piaccia o meno anche queste pratiche di piazza rientrano nelle sgradevolezze della globalizzazione – sul tavolo rimangono alcuni nodi da sciogliere piuttosto ingarbugliati. Per il cosiddetto “movimento”, naturalmente, ma anche per coloro che a caldo non sanno andare oltre la prevedibile indignazione di rito, un altro modo per non interrogarsi sul problema reale con cui prima o poi bisognerà fare i conti (quella che si autoproclama l’altra Milano, in testa il sindaco Giuliano Pisapia, oggi si ritrova in piazza Cadorna per ripulire la città sfregiata). Gli altri, quelli che non possono accontentarsi dell’analisi “sono tutti delinquenti”, sono invece costretti a fare uno sforzo in più. Operazione non facile per chi è direttamente coinvolto nella gestione della MayDay, dove qualcosa evidentemente non ha funzionato come doveva.
I primi a ragionare “nero su bianco” (il comunicato) sono i più coraggiosi nell’analisi. Con toni e accenti diversi tra loro. Prendiamo l’area di Infoaut, il punto di vista più articolato. Il corteo del primo maggio, scrivono, “è la prima grande protesta contro Renzi e il suo modello di sviluppo, e così verrà ricordata”. Sulla questione che più indigna, “il metodo”, questo il ragionamento: “Spaccare utilitarie o vetrine a caso è un gesto idiota che ha senso soltanto per chi assume come referente del suo agire politico il proprio micro-milieu ombelicale”. Ma il punto è: “Con quel modo di stare in piazza bisogna fare i conti e nessuna struttura organizzata è in grado di esercitare una forza di controllo”. Il che significa: “Quella rabbia, quella composizione, quei soggetti sono affare nostro e vogliamo averci a che fare, con tutte le difficoltà del caso. Chi se ne tira fuori – per calcolo, paura o presunta superiorità politico-morale – sta tracciando un solco tra gli alfabetizzati della politica e gli impoveriti ed arrabbiati”. Il nodo del “consenso”, esiste, scrive Infoaut, ma non porsi il problema di come dare un senso a quella rabbia è un grosso errore. Non solo per il movimento.
Militant.blog vuole precisare che non c’è un corteo buono e uno cattivo, anche se la rabbia del primo maggio non è stata espressa nel migliore dei modi. Il problema, scrivono, “non è lo scontro e la devastazione” ma “è come creare consenso attorno a pratiche conflittuali”. Ripartire da qui è il punto, “tornando a fare politica, cioè costruendo un discorso conflittuale che vada di pari passo al sentire comune della classe. Senza accelerazioni inutili o altrettanto inutili attendismi”. Sul sito di Milanoinmovimento (una delle realtà più “dentro” alla costruzione della MayDay) si legge un primo abbozzo di autocritica: non avrebbero voluto un corteo così. Il timore è che arresti e repressione impediscano anche di ragionare, perché “anni di lavoro sui contenuti oggi sono stati letteralmente spazzati dalla scena pubblica”. Il punto è che “continuiamo a non essere capaci di costruire connessione sentimentale con quei pezzi del paese e della società che dobbiamo invece imparare a capire e coinvolgere nelle battaglie che o sono massa o sono condannate all’irrilevanza”. Vero. Le riflessioni dunque sono appena cominciate, la Rete No Expo deve ancora esprimersi e probabilmente lo farà dopo l’assemblea di oggi pomeriggio. Ma a poche ore dal disastro sembra che qualcosa stia già ricominciando a muoversi.