Forse in pochi si aspettavano questa svolta drammatica nelle vicende di Alitalia, con i dipendenti che, chiamati a confermare l’accordo, sembra che abbiano invece detto di «no», risultato reso, se confermato, più credibile dall’alta affluenza al voto.

Nei giorni scorsi sono andato da Milano a Berlino; un biglietto acquistato da Alitalia due settimane prima è costato 185 euro. Per ottenere una bottiglia d’acqua in viaggio ho dovuto anche pagare qualche euro in più. Se avessi volato con una low-cost avrei pagato forse 40 o 50 euro. Il problema di Alitalia è per una buona parte qui: le tratte a breve raggio sono ormai in gran parte dominio di Ryanair e Easyjet, mentre in particolare sul percorso Roma-Milano, che era un asse centrale nell’attività della compagnia, si va sempre più affermando l’alta velocità ferroviaria.

Prima i capitani coraggiosi di Berlusconi, poi il gruppo dirigente messo in piedi dagli arabi e dalle banche, con grandi benedizioni da parte di Renzi, non sono riusciti a mettere in piedi una strategia credibile, strategia che non può non prevedere, tra l’altro, un forte inserimento nelle rotte a lungo raggio.

La situazione di Alitalia è, più in generale, resa drammatica dal fatto che essa sta perdendo due milioni di euro al giorno e un piano di rilancio che sia tale deve dimostrare come far quadrare i conti da qui a qualche anno. Ora quello sul quale i dipendenti erano chiamati a votare non appariva sufficientemente credibile. La previsione di rilevanti tagli ai costi del personale sembrava acquisita con l’accordo con i sindacati, ma la pesantezza delle condizioni richieste a dei dipendenti presi per il collo ed esasperati dai continui e pesanti processi di ristrutturazione ha portato al risultato noto; i tagli e soprattutto il forte aumento dei ricavi nei prossimi anni non appaiono fondati. Un piano vero non deve solo fissare gli obiettivi da raggiungere, ma spiegare anche con quali azioni ottenerli e avere una strategia se qualcosa andrà poi storto. Nella sostanza niente di tutto questo è indicato credibilmente nel documento. Cosa può succedere ora? La proprietà ha sottolineato che senza accordo si andrà al commissariamento e poi, con l’esaurimento delle risorse a brevissimo termine, verso il fallimento.

È possibile una soluzione alternativa? Di fronte alla indisponibilità di capitali privati nazionali a entrare in gioco e invece con il possibile accordo di intervento finanziario da parte delle due banche “di sistema” e di Poste Italiane strettamente legato al coinvolgimento di una grande compagnia del settore, il sentiero si fa molto stretto. Anche una possibile nazionalizzazione avrebbe senso, almeno sul piano tecnico e vista la situazione del mercato, solo con l’intervento di un grande gruppo. Da questo punto di vista sembra esserci un tiepido interesse solo da parte di Lufthansa, ma essa apparirebbe interessata in presenza di una società risanata. C’è qualche spiraglio per una trattativa su questo? E da parte pubblica si troveranno forse i soldi per la guerra di Trump e non quelli per i lavoratori?