Le misure dell’ultimo Dpcm per contenere la diffusione del Covid-19 rappresentano un duro colpo per il mondo della cultura e per l’associazionismo diffuso di promozione culturale e sociale. Sappiamo che si tratta di provvedimenti emanati dal governo per tutelare la salute delle persone, alla luce dei dati sui contagi da settimane in continua crescita.

Ma si tratta di misure che penalizzano fortemente quella parte del Terzo Settore, in particolare l’Arci, che svolge un’attività fondamentale per la crescita del Paese, per la democrazia e la partecipazione: la diffusione della cultura per mantenere, anche nella distanza fisica, relazioni e solidarietà concreta per rispondere alle disuguaglianze culturali e sociali che abbiamo visto crescere in maniera preoccupante durante la pandemia. Si tratta di elementi essenziali, anche in questa fase così difficile e drammatica, per la coesione sociale e per la tenuta democratica del nostro Paese.

I provvedimenti messi in campo, invece, sembrano non tenere in considerazione il ruolo che i Circoli culturali e ricreativi svolgono, della loro funzione di antidoto alla solitudine e all’impoverimento culturale e materiale per tantissime cittadine e cittadini di ogni età, su tutto il territorio nazionale. Attività che negli ultimi mesi abbiamo continuato a svolgere nel pieno rispetto delle regole anti contagio, per la tutela della salute individuale e collettiva, con grande senso di responsabilità.

Siamo infatti ben consapevoli, lo ripetiamo, che l’emergenza epidemiologica non sia terminata e che la salute è un bene primario. Siamo però altrettanto convinti che i luoghi di socialità e diffusione della cultura debbano rimanere aperti, tutti nel rispetto dei protocolli, per dare spazi sicuri di vita.

Per questo le misure dell’ultimo Dpcm, a partire dall’idea che si possano «sospendere» le attività culturali, sociali e ricreative, ci sembrano non rispettose del ruolo che abbiamo e che vogliamo continuare a esercitare. Dall’inizio dell’anno la crisi legata alla pandemia ha colpito duramente anche l’associazionismo culturale e di promozione sociale diffuso nel territorio che, nonostante questo, ha comunque continuato a svolgere con grande impegno e fatica un ruolo prezioso nelle attività di prossimità e tenuta delle relazioni sociali.

Ora chiudere senza alternative, se non si è obbligati a stare a casa, può essere più pericoloso di una normalità organizzata in questi mesi particolari e inediti che stiamo attraversando. E avrebbe conseguenze drammatiche certamente per la nostra organizzazione, l’Arci, ma anche per tanti altri.

Il nuovo Dpcm sarà in vigore fino al 24 novembre ma anche un solo mese, per lo stato di difficoltà in cui si trovano le nostre basi associative, rischia di essere per molti un momento drammatico da cui sarà difficile rialzarsi, sia per le economie che per la tenuta sociale e psicologica di molti nostri dirigenti e realtà territoriali.

Per questo chiediamo al governo di ripensarci e di non essere ignorati da misure di compensazione dei danni per la sospensione delle attività che non possono riguardare le sole attività commerciali, che per gli enti non commerciali sono secondarie per
definizione.

Non si tratta di una difesa «corporativa», ma la richiesta di misure che ci riguardino direttamente per salvare luoghi e spazi indispensabili per la ripresa e per evitare una «sospensione» delle attività di migliaia di circoli Arci che rischierebbe per molti di loro di diventare una chiusura definitiva. Una sconfitta per tutti.

 

*Presidente nazionale Arci