Nneka è una giovane cantante di origine nigeriana e una parte dell’interesse che desta la sua musica nel mondo europeo deriva oltre che dalle doti musicali maturate nell’ambito dell’hip hop e del soul anche dalle sue radici etniche. 34 anni di padre nigeriano e madre tedesca Nneka Egbuna, questo il suo nome per intero, è nata e ha vissuto fino a 18 anni a Warri, una delle principali città portuali situata sul delta del fiume Niger in una delle maggiori aree petrolifere della Nigeria meridionale. I contrasti etnici acuiti se non alimentati dalla presenza di interessi economici delle multinazionali del petrolio sono stati i temi ricorrenti negli anni della sua formazione come cittadina nigeriana, musicista e studentessa di antropologia.

In Nigeria la povertà alimenta l’ignoranza e la violenza, gli attacchi del gruppo terrorista islamico Boko Haram diffondono odio e paura dal nord del paese su tutto il territorio ricorrendo forse al cannibalismo ma sicuramente a pratiche di persuasione di una ferocia sconcertante. Se Boko Haram significa «l’educazione occidentale è bandita» si spiega probabilmente così anche la difficoltà della famiglia tedesco-nigeriana di Nneka di restare a Warri in pianta stabile nel momento in cui la disgregazione del paese sembrava un fenomeno sempre più evidente. Abbiamo contattato la cantante nei giorni scorsi in occasione della pubblicazione del suo ultimo album My Fairy Tales (Bushqueen/ Kartel/Audioglobe) cogliendo l’occasione di scambiare con lei anche qualche opinione sull’attuale situazione nel suo paese. «I continui attacchi in Nigeria – ci dice raggiunta nella sua abitazione in Germania – non fanno altro che mettere in evidenza che il problema va affrontato solo se cominciamo a porci la domanda come nazione, evitando di dare ai nostri leader tutta la responsabilità della gestione di questa situazione. Sono sempre più convinta che se la smettiamo di guardarci come appartenenti a tribù differenti, se superiamo questa concezione identitaria etnica potremo costruire uno spazio unitario, condiviso, una nazione vera e propria».

La «madre migliore» è la traduzione del suo nome in lingua igbo e secondo alcuni studiosi certi aspetti caratteristici del blues sono da rintracciarsi proprio in questa parte dell’Africa occidentale, presso questo gruppo etnico tra i più numerosi del continente. Tutto questo suona quasi come una predestinazione per Nneka che dopo il trasferimento ad Amburgo ha continuato i suoi studi musicali e antropologici facendo della prima la sua attività professionale. La sua anima musicale e culturale è divisa tra Germania e Nigeria, una condizione che in sé offre grandi combinazioni da un punto di vista creativo. «Gli aspetti sincretici tra la cultura dell’Europa e quella dell’Africa occidentale – continua Nneka – sono ovviamente infiniti, soprattutto se parliamo della religione occidentale, quella cristiano-cattolica e le tradizioni africane. Questioni che risalgono all’epoca dei missionari e delle colonie, il cristianesimo è mescolato alle credenze africane tradizionali ed è praticato proprio come il Candomblè in Brasile o la Santeria a Cuba. Per quello che riguarda la mia personale posizione io credo in un solo dio, un dio che si manifesta in differenti forme di vita, organismi e individui, nonostante la nostra percezione come esseri umani».

Per Nneka il successo giunge nel 2008 con il brano Heartbeat che raccoglie 10 milioni di visualizzazioni su youtube. Il singolo appare nella top 20 britannica ed è campionato dalla cantante inglese di origine kosovare Rita Ora nel singolo R.I.P. «Dall’uscita di Heartbeat molto è cambiato nella mia vita, in termini di impegni professionali, amicizie e collaborazioni. Ma forse la cosa più importante è stato il modo in cui ho cominciato a vedermi come artista. Sono diventata più consapevole e attenta, si è attivata in me la capacità di affrontare le cose in maniera più personale e di impegnarmi di più nella direzione che mi interessa. Non c’è nessun modo per far funzionare le cose se prima non cominciamo noi stessi a farle funzionare».

La musica per Nneka ritorna a svolgere una funzione quasi civile, sicuramente sociale e aggregativa. Il cuore dei suoi brani ha una motivazione legittima perché diffonde la voce di una collettività che soffre e ha voglia di reagire e la musica fornisce un’indicazione importante in questo senso. «My Fairy Tales offre un approccio più groovie delle mie canzoni precedenti, secondo alcuni è un album più pop ma io non sono d’accordo. Non ci vedo un approccio commerciale, anzi è un disco che va dritto al cuore e che proviene da lì, direi di facile ascolto questo sì ma dalle radici profonde, molto più consapevole del passato».

La consapevolezza della storia del proprio popolo ma anche di se stessa è una delle cifre dell’album e la questione biografica, sociale e politica affrontata in molti testi è la riprova di questo. Local Champion è una dedica a Warri, la città natale, Babylon racconta la propria idea dell’Africa, un racconto interiore lontano da una lettura sociologica talvolta cucita addosso. «In effetti My Fairy Tales affronta varie questioni – riprende a raccontare Nneka – che riguardano la mia storia come donna e cittadina nigeriana nata e cresciuta a Warri, città famosa per il suo petrolio. Ci sono stati molti problemi nella mia regione proprio a causa del petrolio e al problema direttamente collegato all’inquinamento causato dalla presenza delle compagnie petrolifere e della loro attività estrattiva. A tutto ciò dobbiamo aggiungere le perenni tensioni tra gruppi etnici differenti. Il mio album racconta un po’ tutto questo, racconta come nonostante tutto ancora riusciamo a sorridere di fronte agli ostacoli e alla sofferenza. Babylon che tu citavi parla di resistenza e perseveranza, di come siamo in grado di evitare di essere distrutti emotivamente da tutti questi problemi che ci circondano».

Seguendo il solco di Neneh Cherry, Erika Badu e Lauryn Hill, Nneka delinea il suo orizzonte musicale. Negli anni colleziona collaborazioni importanti con Massive Attack, Lenny Kravitz, Tricky, Ziggy Marley, tournée in America a partire dal 2010 insieme con Nas e Damian Marley come Distant Relatives, apparizioni in tv come quella al David Letterman Show. «Sono state tutte esperienze magnifiche, ho imparato tanto da Tricky e soprattutto da Ziggy, un uomo dotato di uno spirito leggero e positivo, è importante restare sempre umili e rispettosi».

La stampa internazionale descrive Nneka come una donna molto impegnata contro le ingiustizie e i soprusi, militante in numerose organizzazioni non governative, ambasciatrice dell’Awdf, African Woman’s Development Fund e sostenitrice dell’Occupy Nigeria Movement. In questo quadro appare ben radicata la sua opinione di considerare la musica come un linguaggio universale capace di emancipare i popoli, di smascherare fanatismi religiosi e politici.

«La guerra – conclude – non si vince per le strade o nei vicoli delle città nigeriane ma alimentando la consapevolezza nelle fabbriche e tra i ragazzi, creando posti di lavoro. Le esperienze in cui la musica diventa un veicolo di promozione sociale sono fondamentali soprattutto in contesti di grande confusione sociale come in alcuni paesi africani o in Sud America. Non posso che dirmi completamente d’accordo quando si parla di investire nella diffusione della musica nei percorsi di studio scolastici. È un buon modo di insegnare ad amare e in generale di avere un approccio creativo alla vita. Inoltre è molto più facile tenere a memoria informazioni e nozioni quando lo fai attraverso le canzoni. In Nigeria un numero crescente di scuole ha cominciato ad aggiungere la musica come materia di insegnamento, questo grazie anche al lavoro svolto da alcune ong che supportano questa piattaforma. Questa per me è la strada giusta per un cambiamento che duri nel tempo».