Vent’anni non sono pochi e per festeggiarli il «Milano Film Festival» regala quest’anno alcuni eventi significativi. Al concorso dei lungometraggi e dei cortometraggi si affiancano anche in questa edizione alcuni focus sulle forme innovative del cinema contemporaneo. Di particolare interesse la sezione «Breathe Austria»: un’intera giornata, domani 13 settembre all’Auditorium San Fedele, dedicata alle nuove vie del cinema austriaco degli ultimi anni. Manu Luksch, Martin Reinhart e Thomas Tode sono gli autori di Dreams Rewired (2015), pellicola che raccoglie immagini tratte da più di duecento rari e preziosi film realizzati tra la fine del 1800 e gli anni Trenta del secolo scorso. L’obiettivo è raccontare il sogno utopistico di una modernità nata sotto i media elettronici come la radio, il cinema e la televisione, simboli di libertà ed eguaglianza, e la sua alquanto veloce gerarchizzazione all’interno di un processo che di morale ed egualitario si scoprì presto non possedere quasi nulla. È la voce di Tilda Swinton che ci accompagna in questo viaggio per mostrarci le utopie tecnologiche del progresso.
È invece dedicato alla rappresentazione della natura il programma Aurora naturalis. Nove cortometraggi indipendenti che indagano il legame tra arte e natura, tra reale e riproduzione. Tra gli altri, Reign of Silence (2013) di Lukas Marxt, esplora il rapporto uomo-natura, introducendoci a un paesaggio statico e arido, modificato in modo surreale dall’intervento dell’uomo. L’aspetto figurativo e formale è invece il punto di forza di Forêt d’expérimentation (2012) di Michaela Grill. Un percorso di dettagli e primi piani che ci regala forme intense, spaziando tra giochi di colori e linee, dove la foresta si lascia osservare in profondità. Tuttavia è il documentario la perla del cinema austriaco degli ultimi vent’anni e non poteva mancare colui che viene considerato come uno degli innovatori del realismo cinematografico contemporaneo, capace di allargare l’osservazione a storie mai superficiali, figlie della società dei consumi, dove tutto appare banalizzato e ridotto a merce di scambio: Nikolaus Geyrhalter. Il regista sarà presente al Milano Film Festival con un focus dedicato e una masterclass aperta al pubblico (lunedì 14 settembre allo Spazio Oberdan). Il regista quarantaduenne viennese esordisce nel 1992 con Eisenerz, ritratto di una città girato in Super 8. Fonda nel 1994 la Nikolaus Geyrhalter Filmproduktion con l’intento di radunare una serie di autori capaci di ammodernare il cinema per stile e capacità di linguaggio. Nello stesso anno gira Angeschwemmt, una «panoramica» tra i relitti del Danubio e la comunità che vive intorno al grande fiume. Una rappresentazione a tratti impietosa, girata con una camera quasi impercettibile.
Lo stile di Geyrhalter appare meditativo. Riflette un senso di iperrealismo costante, quasi a illuminare zone grigie della società contemporanea altrimenti vuote e inconsistenti. Per l’occasione il Festival ha scelto tre delle sue opere più rappresentative e l’anteprima italiana del suo ultimo documentario. Il viaggio inizia con Das Jahr nach Dayton (1997), una riflessione sulla situazione in Bosnia ed Erzegovina dopo l’accordo di Dayton che pose fine alla guerra spaccandone il territorio. In oltre tre ore il regista racconta difficoltà e contraddizioni di una popolazione improvvisamente divisa e costretta talvolta a rischiare la vita per ricongiungersi alla propria famiglia. Segue Pripyat (1999), un itinerario nei luoghi colpiti dalla tragedia di Chernobyl a partire da quella cittadina vicina alle esplosioni che venne abbandonata in un solo giorno da più di quarantamila abitanti. Riprese in bianco e nero della «Zona», il raggio di trenta chilometri a più alta intensità radioattiva, si alternano alle interviste di coloro che una volta ne erano gli abitanti o a quelle dei lavoratori che ora si adoperano per garantirne il mantenimento e la sicurezza generale. Immagini distanti, quasi una presenza fortuita entro una quotidianità parallela di cui Geyrhalter si serve con l’intenzione di sottolineare come la storia dei singoli possa essere influenzata da scelte che poco hanno a che fare con il bene comune.
È il caso anche di un altro documentario della rassegna, Unser Täglich Brot (2005), una rivelazione sulla coltivazione intensiva e la produzione industriale di cibo in Europa. Senza nessun commento, il regista lascia che siano le immagini a mostrarci ciò che non vogliamo. Le lunghe carrellate lasciano il tempo allo spettatore per un’osservazione profonda, rendono superflua la narrazione consegnandoci ciò che non vorremmo vedere. A concludere, l’anteprima italiana di Über die Jahre (2015), ultimo film realizzato da Geyrhalter e presentato alla Berlinale 2015. Girato nell’arco di dieci anni, il documentario si concentra questa volta sull’attività tessile di una fabbrica in crisi. Il regista decide di seguire il percorso dei lavoratori e le loro vite anche dopo la chiusura dell’attività scrivendo un diario per immagini. Un progetto nato come un work in progress, continuato attraverso un coinvolgimento costante e duraturo con i sette protagonisti.
L’opera di Geyrhalter e il nuovo cinema austriaco ci presentano così un nuovo respiro su un affresco sociale al tramonto, l’immagine di una contemporaneità mai così attuale.