Salvini spiazza e sorprende, va molto oltre la prevista apertura e semina il panico nelle file della ex maggioranza. In politica in tempi sono importanti. Parte dell’esito di questa partita, per i partici coinvolti, dipende dalla capacità di “mettere il cappello” sul governo nascente, occupando la postazione di interlocutore più affidabile del futuro premier. Il capo leghista, a caldo, aveva perso l’occasione ma, grazie a una ex maggioranza impegnata nella causa persa di un governo chiuso al Carroccio, gli si è ripresentata subito. Stavolta il leghista non se la è lasciata sfuggire.

SALVINI ARRIVA a Montecitorio a passo spedito, con una smilza cartella in mano e i capigruppo Romeo e Molinari di scorta. Il colloquio dura poco, appena una mezz’ora, e anche questo serve a restituire l’immagine di un accordo che non richiede sforzi e mediazioni. Il presidente incaricato non ha alcuna intenzione di tenere la Lega fuori dalla maggioranza. Al contrario, dice le cose che Salvini sperava di ascoltare. Che la priorità è creare posti di lavoro. Che bisogna rilanciare il turismo. Che il tema della riconversione ambientale è davvero centrale ma bisogna affrontarlo in modo «pragmatico e non ideologico». La parola maledetta, «perimetro», non viene proprio pronunciata. Di ministeri proprio non si parla. L’ingresso di Giorgetti, probabilmente ai Rapporti con il Parlamento, è dato ovunque per scontato. Il capo leghista non ha intenzione di proporre la sua ingombrante presenza, a meno che non spunti un ministero per il premier uscente. Se ci fosse Conte, forse insisterebbe per riequilibrare entrando in squadra.

SALVINI, A SUA VOLTA, glissa su tutti i temi ostici. Da entrambe le parti c’è l’intenzione di chiudere: inutile crearsi problemi da soli. Parla di tasse ma senza calcare la mano, di Olimpiadi invernali indispensabili, della necessità di difendere il made in Italy ma sforzandosi di non apparire antieuropeo. Quando all’uscita gli chiederanno se mira a riproporre i suoi dl Sicurezza, appena modificati dalla ministra Lamorgese, se la cava con una scrollata di spalle: qui si tratta di salvare il Paese.

È UN SALVINI raggiante quello che, al termine della consultazione, si lancia in una lunga prolusione di fronte ai cronisti e si presta poi volentieri alle domande dei cronisti invece di limitarsi al comunicato scappa e fuggi. «Ho trovato Draghi in forma, attento, positivo. Su molti temi c’è condivisione: per noi e per Draghi la priorità è il lavoro ed è non licenziare. L’importante è che non ci siano più no. Su quel fronte abbiamo già dato». Sottolinea che la Lega, «a differenza degli altri», non pone veti nei confronti di nessuno: «Il bene del Paese viene prima dell’interesse di partito. L’unità del centrodestra per me è un valore ma qui siamo come nel 1945. È un momento di rinascita e concordia, come nel dopoguerra».

L’ex ringhioso ministro dell’Interno rimodellato adesso in formato Cln e addirittura europeista è perfettamente consapevole di quanti problemi la sua disponibilità sia destinata a creare dall’altra parte della barricata, tra i futuri alleati di maggioranza. La difesa del «perimetro», cioè di una maggioranza allargata a Fi e non oltre, è l’ultima ridotta dell’ex premier, che infatti ha battuto su quel tasto anche nell’assemblea dei 5S. Più lui si mostra pronto a sacrificare parti sostanziose della propria identità e addirittura l’unità della destra, più quella posizione, peraltro destinata a non reggere, appare debole.

VANTAGGIO D’IMMAGINE pagato a prezzo di sconto per quanto riguarda l’unità della coalizione. La destra non si spaccherà stavolta, nonostante le posizioni diverse, come non si è divisa quando la Lega governava con i 5S. La convenienza elettorale fa premio su tutto. Il rischio maggiore è quello di un travaso di voti nei forzieri dei Fratelli. Ma in via Bellerio ricordano che la precedente esperienza di governo aveva portato i consensi alle stelle mentre dall’opposizione sono precipitati di una decina di punti. Vedi che mai che in questo momento l’immagine «costruttiva» possa pagare ben più di quella tribunizia.

MA IL CUORE dell’operazione messa in piedi dalla Lega, per una volta con vera abilità politica e non solo propagandistica, è un’altra. Mario Draghi è la Ue, è l’establishment europeo ai suoi livelli più alti. Se c’è un’occasione per scrollarsi di dosso la Fatwah che pesa sul Carroccio a Bruxelles, magari sino a forzare i cancelli del Ppe e ad accreditarsi come accettabile forza di governo, è proprio questa.