C’è una prima volta per tutto e tutti. Ieri è toccata a Mario Draghi: per la prima volta una sua proposta, più precisamente una proposta del ministro dell’Economia Daniele Franco appoggiata dal presidente del consiglio, è stata respinta con perdite. Solo a sentire citare la formula «contributo di solidarietà» la destra italiana mette metaforicamente mano alle armi. Di lì non passa neppure SuperMario: non era stato proprio lui a proclamare che «questo è il momento di dare e non di prendere»? Per la verità il contributo proposto dal ministro e dal premier per fronteggiare l’impennata delle bollette non prendeva niente a nessuno. Congelava il taglio dell’Irpef per i redditi lordi sopra i 75mila euro, scaglione del 2% dei contribuenti che la riforma dell’Irpef non tocca, lasciando l’aliquota al 43%, ma che gode sino ai 50mila euro del taglio di due punti percentuali applicato allo scaglione precedente e del ridisegno delle detrazioni. In tutto dovevano saltare fuori circa 300 milioni da spostare sul taglio delle bollette per le fasce più povere.

NELL’INCONTRO con i sindacati di giovedì sera l’ipotesi non era stata prospettata. Draghi aveva illustrato solo la decisione di spostare 2 miliardi, risparmiati soprattutto perché il taglio strutturale dell’Irpef nel primo anno verrà a costare meno dei 7 miliardi stanziati, parte sulle bollette e parte sulla decontribuzione dei redditi più bassi. Il tetto, secondo l’accordo raggiunto dai partiti sarebbe dovuto essere fissato a 47mila euro. I sindacati avevano chiesto di abbassarlo e il governo sta infatti pensando di portarlo a 35mila euro, anche se la decisione ufficiale ancora non c’è. Con quella voce se ne va un miliardo e mezzo. L’altro mezzo miliardo si aggiunge ai 2 già stanziati per il caro bollette. Solo che anche così il fondo non basta a compensare l’aumento monstre soprattutto del gas, che potrebbe impennarsi sino al 50% in più da gennaio, e anche l’elettricità, con il 25% di bolletta maggiorata, non scherza.

LA PROPOSTA DEL CONTRIBUTO è stata partorita così giovedì sera, negli uffici del Mef, ed è stata portata ieri mattina in cabina di regia. Si è capito subito che non avrebbe avuto vita facile e infatti poche ore dopo, nella riunione del consiglio dei ministri, si è trovata di fronte un muro composto non solo da Lega e Forza Italia ma anche dai renziani. «Qualsiasi ipotesi che preveda un prelievo aggiuntivo non andrebbe nella direzione che il premier ha più volte ribadito», spiegherà poi una nota di Italia viva ed è appena il caso di notare che, nella pratica concreta, sono sempre più numerosi in casi di convergenza tra il partito di Matteo Renzi e la destra. Più iperbolici i toni di Forza Italia: «Sarebbe una patrimoniale mascherata». Addirittura.

LA TENSIONE tra i ministri è montata subito: da una parte Pd, M5S e LeU, dall’altra Lega, Fi e Iv decise a non mollare. Draghi ha provato a convincere. Mezza maggioranza si è impuntata contro la «patrimoniale mascherata» e stavolta, con la guerra nella maggioranza sempre meno strisciante e in procinto di affrontare il difficile guado della manovra, il premier ha deciso di cedere, previa interruzione della riunione per dar tempo al Mef di trovare una soluzione alternativa. In qualche modo i 300 milioni sono usciti fuori. Lo stanziamento per calmierare le bollette del primo trimestre 2022 sarà complessivamente di 2 miliardi e 800 milioni, molto vicino ai 3 miliardi messi sul tavolo per frenare la corsa delle bollette nel trimestre precedente. In tutta evidenza, però, si tratta di toppe emergenziali che non possono diventare abitudine, non essendo possibile sborsare 3 miliardi a ogni bolletta. La speranza del governo è che si tratti, come dovrebbe essere secondo la maggior parte delle previsioni, di una contingenza destinata a finire all’inizio della prossima primavera. Se così non fosse il guaio, per l’Italia e per l’Europa, sarebbe gigantesco. Si tratterebbe di inventarsi misure ben diverse da un esborso transitorio.

NEL COMPLESSO, segnala la sottosegretaria all’Economia di LeU Cecilia Guerra, c’è «un miglioramento del profilo contributivo della manovra». Ai sindacati, che ieri sera Draghi ha diplomaticamente informato di persona al telefono, non basta. Chiedono una sterzata molto più drastica nella riforma fiscale. Ma per decidere se fare o meno il gran passo, la proclamazione dello sciopero, aspettano di vedere l’esito finale della riforma.