Un «appello alla pace» sulle pagine del New York Times firmato Nicolas Maduro. In questo modo, il presidente del Venezuela si è rivolto «al popolo statunitense» per contestare «la narrazione» fornita dal governo Usa in merito alle proteste dell’opposizione, che durano dal 12 febbraio (37 morti). I manifestanti – ha scritto Maduro – vengono definiti «pacifici», mentre hanno come unico obbiettivo «quello di far cadere con mezzi anticostituzionali un governo eletto democraticamente».

Da qui, l’appello al popolo statunitense affinché inviti il Congresso del suo paese ad «astenersi» da adottare sanzioni contro il Venezuela che «colpirebbero i settori più poveri». Roberta Jacobson, sottosegretaria di Stato Usa per l’Emisfero occidentale, la settimana scorsa ha annunciato l’arrivo di un pacchetto di sanzioni, sollecitate in questi giorni dal senatore repubblicano della Florida, Marco Rubio. Una linea fermamente respinta, invece, dagli attivisti dell’Osservatorio per la chiusura della Scuola delle Americhe, tristemente famosa per aver addestrato i dittatori latinoamericani del secolo scorso.

I governanti nordamericani – ha detto ancora Maduro – stanno dalla parte «di quell’1% che vuole riportare il nostro paese all’epoca in cui il 99% era escluso dalla vita politica e solo le élite, comprese quelle delle imprese statunitensi, beneficiavano del petrolio venezuelano». Prima, «le tasse che paga Pdvsa e quelle dei cittadini andavano a vantaggio della borghesia parassitaria, oggi ogni bolivar ottenuto dalle imposte viene destinato al benessere di tutta la società e al rafforzamento di un’economia socialista che protegge il lavoratore».

All’opposto, le parole di Jorge Roig, presidente di Fedecamaras (la Confindustria venezuelana), che ha tuonato contro «gli attacchi alla proprietà privata»: contro gli espropri di grandi imprese e latifondi «che non vengono indennizzati»; contro la legge per «il prezzo giusto», che cerca di tamponare le speculazioni; e contro la tessera biometrica istituita per controllare l’accaparramento di prodotti forniti a basso costo dal governo e rivenduti a caro prezzo di contrabbando. E contro la nuova legge sulle case, che impone ai proprietari di vendere agli affittuari che risiedano nell’alloggio da almeno vent’anni. «Ogni dollaro che usiamo per importare, potrebbe essere utilizzato per produrre una quantità di cibo 4 volte maggiore», ha detto Roig, evidenziando suo malgrado il succo dei problemi economici: la bulimia di dollari delle grandi imprese, che intascano dollari a tasso agevolato dal governo, ma non li investono nella produzione locale.

L’11 aprile del 2002, Fedecamaras mise un proprio uomo, Pedro Carmona Estanga, a capo del governo golpista che disarcionò brevemente l’allora presidente Hugo Chavez (poi riportato in sella a furor di popolo), e sospese tutte le garanzie costituzionali. In gioco, allora c’erano le nuove leggi contro il latifondo e la pesca industriale a strascico. Oggi, la partita si rinnova, complicata dall’inevitabile logoramento del sistema di governo bolivariano, che continua comunque a scommettere sul «socialismo umanista» e sulla giustizia sociale.

Orizzonti lontani da quelli dello scrittore peruviano Mario Vargas Llosa: che andrà a Caracas per sostenere la deputata di estrema destra Maria Corina Machado (destituita), ieri in Brasile a chiedere di sanzionare il Venezuela.