Alla settantesima edizione del Taormina Film Festival, diretto quest’anno per la prima volta da Marco Müller, è stato presentato in anteprima assoluta Quir, il nuovo film del regista svizzero-toscano Nicola Bellucci, che sarà distribuito nelle sale da Wanted in autunno.

Nella cittadina resa celebre a fine Ottocento dalle foto scandalose del barone tedesco Wilhelm Von Gloeden il film riporta un’aria di libertà e trasgressione, raccontando una città come Palermo e la storia d’amore del regista nei suoi confronti attraverso le peripezie di cinque persone straordinarie che nel capoluogo siciliano vivono.

Massimo Milani e Gino Campanella sono due attivisti storici del movimento Lgbtqi+ italiano: fondatori di Arcigay nel 1980, hanno una bottega artigiana (da cui il film prende il nome) nel centro della città, a Ballarò. È una sorta di cenacolo, un luogo intimo e aperto in cui le persone si incontrano non soltanto per comprare le borse o gli altri oggetti creati dalla coppia ma anche per chiacchierare, confrontarsi, fare riunioni politiche o semplicemente ridere insieme.

Da Massimo e Gino le esperienze si fanno attivismo e i pregiudizi si combattono con il dialogo e con l’ironia. Da qui partono le storie degli altri protagonisti del film: quella di Vivian Bellina, donna trans e attrice dal fascino misterioso e ferino, con cui immediatamente si discute di attrazione e di amore; quella di Charly Abbadessa, che nella Hollywood della fine degli anni Cinquanta stava per diventare l’erede di Tony Curtis e dagli Stati Uniti della Summer of Love non sembra riuscire a distaccarsi; e infine quella di Ernesto Tomasini, cantante e performer di fama internazionale che entra in scena come se uscisse da un disegno animato, e racconta di volere che le sue ceneri vengano disperse dal castello della Bella addormentata di un parco Disney.

Il film gioca sin da subito sui contrasti: le parole del poeta Nino Gennaro e le tombe di Toni Galatola e Giorgio Giammona – vittime del delitto omofobo di Giarre del 1980 – situano con precisione l’origine e il contesto delle storie che saranno raccontate, ma su di esse agisce in contrappunto il commento musicale firmato da Roberto Lobbe Procaccini e Valerio Vigilar, che accompagna l’arrivo di Gino in bottega con un’aria tra Jerry Lewis e Franco Franchi. Come la città che racconta, tutto il film è pervaso da un’atmosfera di morte, ma Quir è un film sulla morte che celebra la vita; è un film inebriato di vita che non dimentica la morte e riesce nel difficile compito di parlare laicamente di rinascita, se non di vera e propria resurrezione.
C’è qualcosa che tutti questi freaks quasi todbrowninghiani condividono: sono a un passo dall’entrare nella storia ma si trovano tutti in una posizione liminale, costretti (forse dal caso, in fondo anche da una città ostile) a non farlo.

Nicola Bellucci li racconta con rispetto e profondo ascolto, riuscendo in un ritratto corale che valorizza ognuno di loro senza dimenticare chi nel film compare sullo sfondo. Sono figure che vale la pena nominare, perché questa è davvero una storia collettiva: da Luigi Carollo, il coordinatore del Palermo Pride morto improvvisamente lo scorso aprile, all’ex presidente nazionale di Arcigay Paolo Patané; dall’attivista e storico del movimento Lgbtqi+ Lorenzo Canale a Lorenzo Barbaro, Mirko Pace, Fulvio Perna e molte e molti altri. Ma della città Bellucci riesce a vedere e raccontare anche ulteriori aspetti, magari per brevi cenni: Pippo il posteggiatore curioso, la zecca tunisina, l’attore Paolo Mannina, i pittori della Scuola di Palermo (Francesco De Grandi che partecipa al Pride, l’ape bianca di Andrea Di Marco imprigionata nel molo di una Cala non ancora trapezoidale), la voce di Leoluca Orlando, le scritte e i manifesti sui muri e i mercati meno glamour, come quello dell’usato nel quartiere dell’Albergheria.

La reinvenzione si accosta quindi alla documentazione, e Palermo è filmata come se fosse un altro luogo: talvolta si ha l’impressione di essere in Messico, altre volte le ambientazioni più riconoscibili sono trasfigurate e cambiate di senso, come nella sequenza in cui il poeta maledetto, anarchico e schizofrenico Nando Bagnasco attraversa controcorrente la via Maqueda, simbolo per eccellenza della turistificazione della città. E mentre avanza con lo sguardo fisso recitando un testo tratto dal suo La rivolta del servo lo vediamo volantinare, nel nulla che attraversa, poesie ormai prive di parole, fogli bianchi che non vengono raccolti da nessuno. È un’immagine potente, e non è l’unica ad aprire spazi di vera e propria malinconia: le deambulazioni notturne di Vivian, angelo dalle ali nere alla ricerca della felicità, o di Charly che vaga per la città cercando qualcosa che non può trovare, convinto com’è che Massimo sia un sosia di Marilyn Monroe, e che se fosse rimasto negli USA forse anche lui, come i suoi amici Rock Hudson, Marlon Brando e James Dean, avrebbe sfondato nel cinema «facendo il maschio». E quando Ernesto lo guarda e lo ascolta, persino lui – che dalla reclusione domiciliare dove si prende cura della madre malata apre finestre in ogni istante su altre vite e altri mondi – avverte il timore di un destino e di un’identificazione possibile.

Muovendosi tra il comico e il patetico, tra il commovente e il delirante, Quir è un film stratificato e gioioso, attento alla complessità e fortemente empatico. Generazioni diverse dialogano tra loro nelle case o nella bottega di Massimo e Gino, raccontando l’evoluzione della società italiana nei confronti dell’omosessualità e quella che Milani chiama efficacemente «tutta la gamma della discriminazione».

Le battaglie per i diritti si dimostrano allora più che mai urgenti e necessarie: se Federica, giovane ragazza trans, lo sperimenta quotidianamente sul proprio corpo, Tomasini rivendica il diritto alla depravazione contro l’omologazione forzata anche di un certo ordine del discorso. E quando lo sentiamo cantare – prima nella sua casa governata come un teatro, poi nella prestigiosa cornice del Teatro Massimo accompagnato al pianoforte da Omar Meir Wellber – brani come Maskulinum/Femininum di Spoliansky-Schiffer, che nel 1924 celebrava la gioia del travestitismo deridendo la rigida partizione dei sessi, ripensiamo alla questione del rapporto tra sviluppo e progresso e a quella tra ciò che viene considerato normale e ciò che ancora assume i contorni del ridicolo o del patologico, facendoci domande sull’Italia in cui viviamo.

Nicola Bellucci ha pensato il suo film come un gesto d’amore, trovando un’eco nelle parole che l’attore Massimo Verdastro recita al matrimonio politico di Massimo e Gino. Sono versi di Nino Gennaro, poeta e teatrante corleonese morto di AIDS nel 1995 e autore di aforismi folgoranti come quello che recita «o si è felici o si è complici», scritti a mano nei suoi «libretti gioiattiva» che distribuiva personalmente agli amici. Dice così: «amarsi soltanto / sempre / senza odiarsi mai». E anche: «dove non può la ragione / che possa la follia di un cuore innamorato». Con altrettanta semplicità Quir parla di lotta e di bellezza, di eccentricità e di rivoluzione: dellavita dellamore.