Quello di ieri a Roma tra il Segretario di stato John Kerry e il premier Benyamin Netanyahu e’ stato un incontro volto a coordinare le posizioni di Israele e Stati Uniti alle Nazioni Unite. In casa israeliana la tensione politica e diplomatica di queste ore e’ salita alle stelle. Domani  i palestinesi, attraverso la Giordania, presenteranno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu  una risoluzione per chiedere entro novembre 2016 la fine dell’occupazione israeliana e la nascita dello Stato di Palestina in Cisgiordania e Gaza, con capitale Gerusalemme Est. La mossa unilaterale dei palestinesi non piace a Washington, alleata di ferro di Tel Aviv. Tuttavia l’Amministrazione Obama, che nel 2009 aveva affermato di volere voltare pagina nelle relazioni tra gli Usa e il mondo arabo e i palestinesi, non vuole passare alla storia come quella che ha bloccato, con il suo potere di veto, la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Stato che, peraltro, in questi ultimi mesi, diversi parlamenti europei e il governo svedese, hanno riconosciuto sia pure simbolicamente. Kerry a Roma e durante il suo tour europeo cerca una via d’uscita che salvi la faccia all’Amministrazione Usa o che almeno consenta di guadagnare tempo nella speranza che i palestinesi, messi sotto pressione, accettino di congelare i loro propositi.

 

Si diffonde un dubbio: domani i palestinesi presenteranno sul serio la risoluzione cosi’ come ha annunciato l’altra sera Wassel Abu Yusuf, uno dei leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp)? E’ un dubbio legittimo perche’ ieri sera la rappresentante giordana alla Nazioni Unite ha riferito che il suo ufficio non ha ancora ricevuto alcuna richiesta dai colleghi palestinesi. E mancano poche ore all’appuntamento. In realta’ in casa palestinese non ci sarebbe ancora una decisione definitiva e continuano ad affrontarsi due correnti: una favorevole a puntare con forza sull’iniziativa lanciata all’Onu e l’altra piu’ cauta, piu’ influenzabile dalle pressioni esterne, decisa a non “accelerare i tempi”. L’unica certezza e’ che l’Anp del presidente Abu Mazen ha deciso lo scorso fine settimana di non interrompere la tanto contestata – dalla popolazione palestinese e da gran parte delle forze politiche – cooperazione di sicurezza con i servizi segreti israeliani. Il taglio netto della collaborazione con l’occupante, dato per sicuro dopo la morte una settimana fa del ministro Ziad Abu Ein durante una manifestazione contro la confisca delle terre, invece non e’ avvenuto. Il punto di mediazione tra le diverse anime dell’Olp e dell’Anp sarebbe la decisione di puntare sull’iniziativa all’Onu. Con il freno a mano tirato, pero’.

 

A quanto pare i palestinesi stanno studiando la bozza di risoluzione francese che prevede la ripresa immediata del negoziato bilaterale da concludere entro due anni con l’obiettivo della nascita dello Stato di Palestina. In casa Anp sanno che il negoziato con Israele non ha portato e non portera’ ad alcun risultato, a maggior ragione se dopo le elezioni legislative di marzo, Netanyahu e la destra estrema rimarranno al potere in Israele. Tuttavia a diversi dirigenti dell’Anp e, a quanto pare, lo stesso Abu Mazen l’iniziativa francese appare ragionevole, perche’ eviterebbe di andare allo scontro aperto con Washington e permetterebbe di consolidare i consensi che, sempre piu’ numerosi, l’idea dell’indipendenza  palestinese raccoglie in Europa. Non la pensa cosi’ la popolazione palestinese.
Netanyahu da parte sua ha avviato un intenso fuoco di sbarramento per distruggere le gia’ scarse possibilita’ dell’iniziativa palestinese al Consiglio di Sicurezza. Prima di partire per l’Italia, il premier israeliano ha denunciato “l’assalto diplomatico” al quale il suo governo sarebbe soggetto. “A Roma dirò a Kerry e al (presidente del consiglio) Matteo Renzi che Israele respinge i tentativi di assalti diplomatici, attraverso decisioni dell’Onu, per costringerci ad un ritiro entro i confini del 1967 in 2 anni”. Il ritiro dalla Cisgiordania,  ha avvertito, porterebbe “estremisti islamici nei sobborghi di Tel Aviv e nel cuore di Gerusalemme. Non permetteremo che questo avvenga. Lo respingeremo con forza”. Secondo Netanyahu ”Israele si erge come un’isola solitaria contro le onde di estremismo islamico che lambiscono l’intero Medio Oriente”.  Tel Aviv in ogni caso si aspetta che gli Usa pongano il veto nei confronti della risoluzione dei palestinesi in Consiglio di Sicurezza. Questa e’ stata la richiesta che Benyamin Netanyahu ha fatto nell’incontro con Kerry a Roma. “La politica Usa negli ultimi 47 anni – ha spiegato un funzionario governativo israeliano al quotidiano di Tel Aviv Haaretz – e’ stata quella di opporsi a passi unilaterali. Non c’e’ ragione per un cambio e ci aspettiamo che cosi’ avvenga”.