A. M., trentasei anni, aveva scelto l’interruzione di gravidanza farmacologica il 4 aprile, data in cui le era quindi stato somministrato il mifepristone, altrimenti noto come pillola abortiva Ru486, per bloccare la gestazione. In quella data, e nei giorni successivi, nessun effetto collaterale era stato registrato. Mercoledì mattina i medici dell’ospedale Martini di Torino, seguendo il protocollo abituale, le avevano somministrato la prostaglandina, sostanza che favorisce l’eliminazione della mucosa e dell’embrione. Tutte le analisi previste dal protocollo, compresa l’ecografia, non avevano rivelato nulla al di fuori della norma, ma nel primo pomeriggio la paziente aveva iniziato ad accusare i primi problemi: «mi manca l’aria» aveva detto. Immediatamente le era stato fornito l’ossigeno e la paziente era stata sottoposta a un elettrocardiogramma che aveva riscontrato una «fibrillazione ventricolare». Poi, ma è ancora da accertare, un embolo prodotto da queste contrazioni irregolari del cuore e l’arresto cardiaco. I medici sono stati costretti ad intervenire con il defibrillatore. L’allarme sembrava rientrato, ma la donna, poco dopo le 22, ha avuto un’altra crisi, inutili i tentativi di rianimazione, durati 25 minuti.

A. M., nota a Torino per il suo impegno politico e sociale, lascia un bimbo piccolo. La famiglia ha scelto di non procedere legalmente nei confronti dell’ospedale e il ginecologo Flavio Carnino, primario del reparto di ostetricia dell’ospedale Martini, ha escluso ogni tipo di errore da parte del personale medico intervenuto. «Sono stati rispettati tutti i protocolli che si utilizzano sempre in questi casi. Nel 2013 l’ospedale ha eseguito una sessantina di interruzioni con quel sistema e non si è verificato nessun problema. I farmaci utilizzati sulla paziente sono quelli che abitualmente si usano e l’equipe medica si è prodigata in ogni modo per salvare la paziente», ha riferito il dottore.

La procura di Torino, a cui si è rivolta la Asl To1 in cui rientra l’ospedale Martini, ha aperto un’inchiesta e per il momento ha bloccato l’autopsia, prevista per ieri, rinviandola a lunedì. Anche il ministero della Salute ha aperto un fascicolo sul caso, gli ispettori inviati dalla ministra Lorenzin dovranno produrre una relazione sulla base della documentazione che i funzionari della Regione Piemonte saranno chiamati a fornire.

Il quotidiano La Stampa, che ieri ha pubblicato la storia, ha scritto di «primo caso in Italia» «dopo l’aborto con la pillola». «Sono vicino alla famiglia di A. M. ma nessuna relazione esiste tra la morte di A. M. e la pillola Ru486» queste le parole si Silvio Viale, ginecologo, a capo del servizio italiano di interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino, padre politico nell’impegno a favore della Ru486 o mifepristone, tecnica per l’aborto farmacologico, di cui ha avviato la sperimentazione in Italia nel 2005. Viale pone un argine alle polemiche relative all’utilizzo della pillola che interrompe la gravidanza. Una strumentalizzazione che alcuni gruppi religiosi tradizionalisti già nella giornata di ieri hanno cominciato a veicolare sui social network, a cui però non hanno fatto seguito prese di posizione ufficiali delle gerarchie cattoliche, torinesi e non.

Dottor Viale, cosa è successo in ospedale mercoledì?

Una fatalità tragica, un arresto cardiaco che può capitare in qualsiasi situazione, non collegabile alla pillola Ru486. Non si può provare alcun nesso teorico e pratico di causalità con il mifepristone, perché non ci sono i presupposti farmacologici e clinici. Al limite si può pensare che siano gli altri farmaci, gli stessi che si impiegano per l’interruzione volontaria della gravidanza chirurgica, i maggiori sospettati di un nesso con le complicazioni cardiache. Esiste un singolo episodio precedente simile a quello accaduto oggi, avvenne nel 1991 in Francia. Ma dopo le successive modifiche farmaco-procedurali non è mai più avvenuto.

Esistono rischi intrinseci nella somministrazione del farmaco?

No. Il mifepristone è regolarmente autorizzato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) anche per gli aborti chirurgici volontari del primo trimestre e per le interruzioni terapeutiche del secondo trimestre, per cui le buone norme di pratica clinica prescriverebbero di utilizzarlo nel 100 per cento degli aborti e, se non è cosi, è solo per motivi politici e organizzativi.

Giungerà una strumentalizzazione politica sulla vicenda, siamo in Italia. Cosa rispondere?

Io spero che si rimanga fedeli alla scienza e che l’autopsia chiarisca bene quali sono state le cause di questa morte. Le donne nel mondo che hanno assunto la pillola Ru486 sono milioni e da anni il suo utilizzo è pratica normale. Purtroppo qui da noi sono mai cessate le polemiche e a trentasei anni dalla legge 194 l’aborto è considerato come una pratica ai margini della sanità, quasi una prassi al di fuori della normativa. La 194 è l’unica legge che ancor oggi obbliga la donna a soprassedere sette giorni sulla sua decisione di interrompere la gravidanza prima di potersi sottoporre all’intervento. Le donne che hanno intenzione di seguire questa pratica non devono preoccuparsi. È un evento tragico e doloroso, ma sicuramente eccezionale.