Non sono poca cosa 10 mete incassate per un totale di 68 punti a 10. Non fanno certamente piacere. Ma come dice Conor O’Shea, aprendo la conferenza stampa del dopo-partita, “A volte giochi con i più forti e vieni battuto”. Oggi, in uno stadio Olimpico bello pieno e in un freddo pomeriggio d’autunno, l’Italia si è trovata di fronte gli All Blacks, i più forti di tutti, un altro pianeta di un’altra galassia. Solo i più ingenui, o gli entusiasti per mestiere, potevano davvero pensare non dico di battere ma anche solo di fare il solletico a una squadra tanto forte, tanto dominante in ogni frangente, in ogni situazione di gioco. Qualcuno forse si era illuso dopo che gli uomini in nero si erano fatti sconfiggere sabato scorso dall’Irlanda al Soldier Field di Chicago, dimenticando che gli All Blacks venivano da una striscia di 18 vittorie consecutive e che nel Rugby Championship avevano strapazzato tutte le avversarie dell’emisfero Sud, realizzando una media di sei mete e 43 punti a partita e suggellando il tutto con una spaventosa prestazione in casa sudafricana (57-15).

E’ dunque finita come doveva finire. In meta dopo appena 4’ con il cento Malakai Fekitoa, infilatosi in velocità in un varco della difesa azzurra, i neozelandesi hanno proseguito a fare il bello e il cattivo tempo. La sequenza delle marcature a seguire: Charlie Faumuina (15’), Patrick Tuipulotu (19’), Israel Dagg (25’), Wyatt Crockett (37’), Steven Luatua (45’), Malakai Fekitoa (57’), Elliot Dixon (61’), Rieko Ioane (72’), Waisake Naholo (76’). Cinque mete per tempo, segnate con impressionante regolarità.

Da parte italiana i punti sono arrivati da un calcio di punizione di Carlo Canna al 12’ e dalla meta che il quasi esordiente Tommaso Boni (un solo cap in azzurro nel tour estivo contro il Canada) ha realizzato in fuga solitaria dopo un intercetto di Edoardo Gori. Tutto il resto si è tinto di nero: la superiorità neozelandese si evidenzia in tutti i parametri tecnici, a cominciare dal possesso palla (quasi il doppio degli avversari) e proseguendo nei passaggi (182 a 81), negli offloads e negli uno contro uno (33 a 4). Non c’è stata storia né poteva esserci. Eppure Steve Hansen aveva mandato in campo la squadra delle riserve, tenendo a riposo i migliori in vista delle prossime sfida con Irlanda e Francia, ma il rugby neozelandese oggi è talmente forte e a tal punto strutturato da potersi tranquillamente permettere anche questo nei confronti delle squadre di terza fascia come l’Italia.

Conor O’Shea si è detto comunque soddisfatto. Non si attendeva miracoli, almeno lui, ma qualcosa alla squadra aveva pur chiesto: di giocare e tenere il punto per tutti e ottanta i minuti. “Ho visto un’Italia che ha lottato e placcato per tutta la partita e ho visto molti errori, ma ho anche visto nei miei giocatori la volontà di rispettare il piano di gioco. E io vedo sempre il bicchiere mezzo pieno”. Anche il capitano azzurro, Sergio Parisse, che spesso abbiamo visto con il muso lungo nei post-partita, è apparso tutt’altro che abbattuto per la pesante sconfitta. Da lui, al contrario, è giunta un’apertura di credito che non è sembrata di circostanza a O’Shea e al suo metodo di lavoro.

Sabato prossimo, a Firenze, arriva il Sudafrica più in crisi degli ultimi decenni. Ieri al Twickenham gli Springboks sono stati sconfitti 37 a 21 dall’Inghilterra. Per loro è un momentaccio e sarà interessante vedere come gli azzurri saranno in grado di affrontare quella che è stata per lungo tempo una delle grandi potenze del rugby mondiale. Altra sorpresa è giunta da Edimburgo, dove la Scozia, pur sconfitta 23-22, ha tenuto sulla corda l’Australia conducendo per buona parte del tempo il match e facendosi sorpassare soltanto nei minuti finali.