Nelle lunghe comunicazioni alle Camere la premier aveva scelto la diplomazia, calcando i toni solo alla fine per riempire di elogi il suo governo e assicurare che resterà cinque anni a Chigi grazie alla compattezza della maggioranza.

FINO AL GIORNO prima, per la verità, con Fi era stata quasi una guerriglia. A sanare la faccenda ci ha pensato la borsa. La frizione con il governo era costata alle azioni Mediaset oltre 6 punti e Marina Berlusconi, che quel linguaggio lo conosce bene, si è affrettata a firmare la pace. Poteva farlo solo lei, presidente di Finivest e di Mondadori ufficialmente, di Fi in via ufficiosa. Non si è fatta pregare.

Le illazioni su una regia aziendale nel noto fattaccio? «Inventate di sana pianta». I rapporti tesi con la premier? «La stimo molto: capace, coerente, concreta. La apprezzo sul piano politico e molto anche come donna, ancor più in questi giorni».

CHE L’INCIDENTE sia chiuso una volta per tutte è ancora dimostrarsi ma per ora l’omaggio ha spento l’incendio. La premier ha dato il via libera a quelle norme sulla prescrizione chieste dal partito azzurro, bloccate nei giorni dell’alta tensione, e può vantare in l’indistruttibile solidità della sua maggioranza. Ci si potrebbe chiedere perché, non avendo nulla da temere, appaia tanto sulla difensiva.
Nella replica però la diplomatica Meloni cede il posto alla leader cresciuta nelle risse di sezione. Depone il fioretto, impugna la mazza, va all’assalto dell’opposizione, dà spettacolo. La interrompono e lei picchia: «Capisco perché siete nervosi: governo da un anno, lo farò per altri quattro poi si vede gli italiani cosa ne pensano. La democrazia funziona così». Le interruzioni si ripetono dopo un po’ e lei passa alla derisione sprezzante: «Non dovete essere nervosi. Il governo sta andando male. Il vostro momento sta per arrivare».

CON IL PD la premier si contiene. Con i 5S e con il loro leader no. «Spero che il presidente Conte mi spieghi perché in tre anni il salario minimo non lo ha fatto». E sull’aumento dell’Iva per gli assorbenti: «Lo avevamo dimezzato l’anno scorso ma la misura non ha funzionato e dunque non la abbiamo confermata. Quando si sbaglia si fa così: avreste dovuto farlo anche voi sul Superbonus».

Il vero colpo duro però Giorgia Meloni se lo risparmia per gli ultimissimi minuti della replica e dunque del dibattito, senza limitarsi alle parole ma con tanto di faccia severa e smorfie sprezzanti: «Il punto più basso di credibilità di un governo è stato un premier che rincorreva al bar un pari grado per tranquillizzarlo sul fatto che i membri della sua maggioranza parlano per tranquillizzare il loro elettorato ma alla fine faranno quello che vogliono gli altri. Questo a me non lo vedrete mai fare costi quello che costi».

IL RIFERIMENTO è a un noto colloquio tra Conte e Merkel del 2020, a tarda notte in un bar. Peraltro anche quello un fuorionda rubato. La risposta dell’ex premier preso di mira non è tra le più riuscite: «E’ ossessionata da me». Una torbida passione segreta?
Sceneggiate a parte, sia con l’esagerata ostentazione della mattina che con i toni volutamente provocatori del pomeriggio la premier non ha dato affatto una sensazione di sicurezza. Basta fare il paragone con l’ottima performance nella quale si era invece prodotta sulla crisi del Medio Oriente per percepire la distanza.

DALL’OPPOSIZIONE non ha nulla da temere e può permettersi di beffarla. La maggioranza, come la resa di donna Marina attesta, ha pochissimi margini di manovra. Ma il problema è altrove. E’ nell’obbligo di governare una realtà molto più ribelle del Parlamento italiano.