In occasione della Design Week, Jil Sander ospita negli spazi del suo showroom di via Beltrami a Milano l’esposizione Nendo: Invisible outlines.
La mostra sarà firmata dall’omonimo gruppo di lavoro «Nendo» che da quattordici anni, sotto la guida dell’architetto e designer giapponese Oki Sato, si confronta con i temi chiave della progettazione contemporanea, innovandone basi e presupposti.

IL NOME DELLO STUDIO stesso, che significa «creta» in giapponese, rimanda alla metodologia duttile e versatile con cui questo team coniuga bellezza, funzionalità e sostenibilità produttiva. «Nendo nasce dalla volontà di progettare in modo più libero e flessibile, trascendendo i generi. – spiega Oki Sato – Si tratta della stessa libertà con cui i bambini giocano con l’argilla, cambiando le forme delle cose e mescolandone i colori».
Cos’hanno in comune l’iconico marchio di moda che dal 1969 è sinonimo di lusso minimalista e il celebre studio di design guidato da Oki Sato? «Credo che il punto di contatto sia nel linguaggio semplice ed essenziale e nella cura profonda di materiali e dettagli».

L’ESTETICA MINIMALISTA di matrice giapponese è alla base del lavoro di entrambi. Diventa uno stile di vita totale quando abbraccia l’oggetto quotidiano e si congiunge alla sua funzionalità. La mostra esplora esattamente questo processo. I confini invisibili a cui allude il titolo sono i contorni delle cose attraverso cui l’occhio percepisce l’essenza di un oggetto. È la linea a definire una sagoma e a permetterne il riconoscimento immediato: tutte le altre informazioni possono essere integrate intuitivamente dall’inconscio.

L’ESPOSIZIONE, che raccoglie ben sedici differenti «momenti», tra diverse collezioni e installazioni, prende spunto da questo presupposto teorico e lo applica all’oggetto d’uso quotidiano e all’ambiente convenzionale. «Nei miei lavori non parto da grandi concetti o da un’idea eccezionale, ma da qualcosa di semplice in grado di influenzare le emozioni di chiunque».

Ne deriva una sperimentazione in cui i contorni delle cose sono manipolati, sfocati e alterati fino a smarrire la loro riconoscibilità.
Così per i trenta vasi della collezione jellyfish vase che, immersi in un acquario, ondeggiano come meduse. I vasi di silicio trasparente sono trattati per dare l’impressione di una sagoma di solo colore e ripensano la relazione convenzionale tra vaso, fiore e acqua. «Quando osserviamo qualcosa, ci colpisce essenzialmente la storia intorno all’oggetto – spiega Oki Sato – Se progetto un tavolo, ho bisogno di comprendere prima di tutto il luogo dove sarà e gli oggetti che vi saranno sopra».

L’INSTALLAZIONE objectextile, frutto della collaborazione tra Nendo e Jil Sander, incarna ancor più gli esiti estremi di questa sperimentazione. Si riflette sul rapporto tra esistenza tridimensionale dell’oggetto e sua visione bidimensionale. Dal gioco dialettico tra visioni, scaturiscono cinque abiti connotati da pattern differenti. Un cubo tridimensionale viene fotografato e distorto secondo diverse angolazioni. Ne risulta una griglia decorativa a sua volta utilizzata per ricreare un oggetto: l’abito. È così che si porta allo stremo l’idea alla base di tutta la mostra: alterando linee e confini della visione, tutti gli oggetti cambiano drasticamente.

Uno dei pattern che risultano da questo lavoro è stato utilizzato per creare una speciale capsule di oggetti, che sigilla la collaborazione tra lo studio di design e Jil Sander (info su store.jilsander.com).
Poiché alla base del design è il superamento dell’idea di art pour l’art, la bellezza di un oggetto non è più contraddetta dalla sua riproducibilità industriale e dalla sua funzione d’uso.

SEMBRA ESSERSI avverata la riflessione che Baudelaire fece sulle nuove modalità espressive dell’estetico ai primordi della rivoluzione industriale.
Il bello, come viene affermato nel poemetto Portraits de maîtresses, «non basta più se non ha il condimento del profumo e dell’abbigliamento».