Nata vicino Olomouc, nella Repubblica Ceca all’epoca parte dell’impero austro-ungarico, Anna Zemánková (1908-’86) si avvicina al disegno verso i sedici anni ma segue una formazione in odontoiatria e, a partire dal 1936, si dedica interamente alla sua famiglia; uno dei suoi figli diventa tra l’altro scultore. Seguendo la carriera militare del marito, nel 1948 si trasferisce a Praga e riprende a disegnare solo alla fine degli anni cinquanta, esponendo nel 1966 alcune sue opere nel foyer del Teatro Na Zábradlí di Praga. Se espone sporadicamente in Italia a partire dalla fine degli anni sessanta, la sua carriera internazionale è lanciata nel 1979 da Roger Cardinal e Victor Musgrave grazie alla mostra Outsiders alla Hayward Gallery di Londra. L’anno successivo alcuni suoi disegni entrano a far parte della Collection d’Art Brut di Losanna e nel 1981 viene esposta alla Biennale d’arte di Sao Paulo. A causa di un diabete avanzato, nel 1982-’83 le vengono amputate entrambe le gambe.

Scomparsa nel 1986, si susseguono diverse mostre fino alla presenza nel Palazzo Enciclopedico della Biennale veneziana, dopo che Gioni l’aveva già inclusa in Ostalgia (2011) al New Museum di New York, e fino alla biennale attualmente in corso.

Una tavola dall'”erbario” di Anna Zemánková

Zemánková viveva in un casa piena di fiori naturali e artificiali, presenti nei vasi ma anche nei tappeti, nei ricami e nei vestiti moravi. Disegnava all’alba, tra le 4 e le 7 di mattina, un momento della giornata in cui la coscienza non si era ancora impadronita della mente e in cui il mondo dei sogni non si era dissipato. Se ha prodotto migliaia di disegni, a volte impiegava due anni per completarne uno, messo da parte e ripreso in seguito. Giocava una partita a scacchi col disegno, così si esprimeva. Amante dei colori tranne il nero, che usava per i contorni, lavorava su carta ma anche su tessuti di raso, utilizzando la matita, la tempera, la pittura, i pastelli secchi, i gessetti, a volte l’acquerello. I formati sono contenuti: fogli A1 o A2 o, in seguito, il formato cartolina o un supporto di 7×10 cm. Il disegno è lineare e ben definito, accompagnato da un’ampia stesura di colore.

In gran parte non datate, si tende a raggruppare le sue opere – piene di spirali, arabeschi ed elementi ripetuti come in un caleidoscopio – per dominanti, riconoscendovi elementi igneo-tellurici o acquatici, erotici o spirituali (se non spiritualizzanti), cellulari o cosmici, fetali o sessuali, anatomici o astratti. Le sue ispirazioni artistiche? L’artista non sapeva cosa rispondere, preferendo parlare di musica, onnipresente mentre disegnava: non solo Bach o Beethoven ma anche Charles Lloyd e soprattutto Janácek.

«Indenne di cultura artistica» (come direbbe Dubuffet), sembra che per Zemánková contasse solo l’espressione delle proprie visioni interiori, l’invenzione o una più ambigua spontaneità non irregimentata dall’educazione artistica o dalla citazione-omaggio al passato. Il suo gesto impulsivo ma allo stesso tempo estremamente meticoloso fa emergere quell’ostinazione, quell’ossessione di tante immagini art brut cui è in effetti spesso associata. Una visione parziale di un’artista così poco ortodossa agli occhi di quanti si ostinano a leggere la storia dell’arte come un’ordinata successione di movimenti ben delineati.

Costante resta tuttavia la passione per il mondo vegetale. Lettrice di riviste di botanica, esposta all’art nouveau morava coi suoi motivi floreali, anche i titoli delle sue opere rimandano spesso al mondo vegetale. Il suo è un hortus deliciarum composto da fiori immaginari, un immenso erbario della mente che, ormai squadernato, sopravvive in forma di singole tavole. Come sosteneva spesso Zemánková: «Faccio crescere fiori che non crescono da nessun’altra parte».