Sembra esaurita la spinta innovativa del cosiddetto “modello emiliano”: lo si percepisce dalla sostanziale indifferenza che circonda le elezioni del prossimo 23 novembre, soffocate anche nei media nazionali dal fragore del disagio sociale che sta spaccando il paese.

Le elezioni regionali avrebbero dovuto essere un’occasione utile per ridiscutere, in positivo e all’interno della cultura progressista, quel “modello “, individuando strategie capaci di rigenerarne l’originaria spinta ideale iniziata negli anni settanta. Un modello che aveva portato il welfare emiliano ad essere esempio da imitare in Italia e nel mondo e che, sul piano economico, aveva favorito la crescita dell’innovazione nei distretti industriali e un sistema cooperativo in continua evoluzione.

Il “buongoverno” emiliano romagnolo è stato per anni contrapposto al malgoverno nazionale. Era la dimostrazione che un’alternativa politica non solo era possibile, ma esisteva già.Oggi non è più così.

L’esercizio permanente del potere nel governo regionale, per decenni, da parte del medesimo soggetto politico, ha condotto a sclerotizzazione di alcuni meccanismi interni, con la conseguente creazione di clientelismi e privilegi. Il pragmatismo si è involuto, diventando prassi di mediazione, spesso al ribasso, rispetto anche a questioni fondamentali, quali il controllo del territorio, dove non si è saputo porre un limite alle espansioni urbane; e il massiccio ricorso all’esternalizzazione dei servizi ha favorito una progressiva privatizzazione del welfare emiliano, che ne sta rubando l’anima. In questo contesto, non è un caso che la questione morale abbia toccato anche l’Emilia Romagna, pur con episodi minimali.

Le elezioni anticipate si sono rese necessarie per le dimissioni di Vasco Errani, a seguito della vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto personalmente, mentre Matteo Richetti ha lasciato le primarie per il peso di un’indagine a suo carico. La memoria delle dimissioni, molto più drammatiche, di Flavio Del Bono da sindaco di Bologna pesa ancora. Eppure, se confrontate con quelle dei Fiorito a Roma o dei Formigoni in Lombardia, le vicende personali di Del Bono o Errani, o dei consiglieri oggi implicati nell’indagine sulle cosiddette “spese pazze”, appaiono come modesti peccati veniali, rispetto al furto sistematico della cosa pubblica avvenuto in altre realtà regionali.

Questi episodi hanno contribuito a distacco, rispetto alle elezioni del 23 novembre, ritenute oltretutto un esercizio superfluo, perché il Pd è vincitore annunciato, in una competizione apparentemente senza avversari. Giocano a favore del partito democratico le difficoltà dei Cinquestelle, ora indeboliti da divisioni interne, epurazioni e dalla delusione del “grillismo reale” praticato a Parma.

Le primarie del 28 settembre, andate quasi deserte, con un calo di partecipazione dell’85% rispetto a quelle nazionali, avevano tuttavia già rivelato un disorientamento dell’elettorato democratico.

Il Pd emiliano, forte del 52% alle europee, non ha dato peso alla necessità di un cambiamento: nella scelta delle candidature, soprattutto quella del presidente, come nella linea programmatica, non si sono visti segnali di apertura, piuttosto un continuismo inerziale, nella esperienza di partito e di governo.

Gli alleati che il Pd si porta appresso, da Sel, alle liste civiche di ispirazione centrista, si sono rivelate poco influenti sul piano politico, rispetto allo strapotere del Pd. Sel, dopo avere rifiutato la partecipazione alle primarie, alla fine ha optato per la continuità di una scelta di governo con l’intento di creare una sinistra forte e «salvare il Pd da Renzi».

Nelle urne si farà sentire l’eco delle urla scomposte che, nelle piazze della regione, riempiono i comizi di Matteo Salvini. Quanto possa essere reale la sua presa sull’elettorato di questo pezzo dell’Italia “padana” è difficile ipotizzarlo: in una regione civile come l’Emilia, con una radicata cultura della democrazia e della solidarietà, dovrebbe essere improbabile che possa andare molto lontano questa Lega, alleata con quanto resta del berlusconismo, che alle europee era scesa al 2,50 % (ma nel 2010, ricordiamolo, aveva ottenuto il 13,70 %), che agita slogan beceri e manifesta esplicite simpatie per i gruppi neo-fascisti, anche ipotizzando non impossibili travasi di voti grillini.

Ma l’Emilia non è affatto immune dalla crisi e anche qui il rischio che la destra più retriva possa attrarre consensi significativi, pescando nelle corde irrazionali del disagio, non è purtroppo irrealistico.

*presidente del circolo culturale il Borgo di Parma