L’intero appuntamento monografico dedicato a Gyorgy Kurtag da Milano Musica e l’approdo in scena, dopo una gestazione di anni, di Fin de partie dall’omonimo dramma di Samuel Beckett, sembrano essersi centrifugati nel doppio appuntamento di domenica e lunedì scorsi al Teatro Gerolamo e al Teatro alla Scala. Questo perché, sia nel piccolo teatro di Piazza Beccaria, una volta tempietto del dialetto milanese, sia nella culla del melodramma, sono venuti a dischiudersi definitivamente i due poli d’attrazione della vita musicale dell’ungherese Kurtag.

INFATTI, ad aver avuto luogo e destinazione sono stati il continuo ed incessante poggiarsi del compositore, non esente da autoreferenzialità,  all’universo musicale della madrepatria (da Bartok a Ligeti per finire, per l’appunto, a sé stesso, attraversati però da confidenziali sussulti etnofolk) e all’estremo la definitiva costruzione di una serie di poggiatesta letterari che hanno cucito drammaturgicamente le sue partiture.  Qui, sono soprattutto i filtri amicali ad aver agito sulle sue letture: non solo l’ultra-citato Beckett, e andando più indietro l’altrettanto amato Kafka e i poeti ungheresi a cominciare dal leggendario Attila Jozsef. Tuttavia, è nella costante presenza di forme letterarie contratte che si dipanano le enigmatiche frasi musicali kurtaghiane; l’aforisma che non è mai citazione, ma esclusiva espressione di un sentimento, meglio se predisposto a cicli in cui la poesia si fonde con la medesima scelta della strumentazione. La tradizione sembra giocare la sua parte con l’inserimento in formazione ed in funzione dialettica del cimbalon, la cui vicenda sonora è profondamente intrecciata con la musica tradizionale d’Ungheria.

SEBBENE anche Stravinskij fosse innamorato del suo suono percussivo tanto da importarlo in zone colte dell’Europa musicale. Proprio questo strumento, suonato da Luigi Gaggero,  è stato protagonista del programma domenicale approntato in modo esclusivamente tematico e monografico al Teatro Gerolamo. In dialogo con il violino (esuberante la performance “scalza” di Nurit Stark) e con il contrabbasso di Peter Riegelbauer, protagonista della strepitosa piega brechtiana presa dal duetto con il soprano Sophie Klussmann in Einige Sätze aus den Sudelbüchern di Lichtenberg op. 37a del 1999, presente in tutti i duetti e trii delle restanti composizioni di Kurtag.

DI TUTT’ALTRO tenore il concerto al Teatro alla Scala; l’aforisma lasciava il passo al romanzo orchestrale per ritornarvi come intermezzo nei brani per pianoforte di Kurtag, perlopiù eseguiti in prima assoluta. Pertanto, tra le scritture larghe destinate alla costruzione delle grandi cattedrali sonore novecentesche come il Concerto per Orchestra di Bela Bartok si faceva strada l’opening ligetiano della prima parte consegnato al pubblico nel suo concerto per orchestra del 1994, interpretato da Pierre – Laurent Aimard, solista raffinatissimo nelle citate prime esecuzioni kurtaghiane e specialista massimo del repertorio del compositore nobilitato da Kubrick in “2001”, e diretto in maniera misuratissima e alla giusta distanza da Heinz Holliger. Per finire alla riproposizione in apertura di secondo tempo di Stele op. 33, il maggiore lavoro orchestrale di Kurtag dedicato a Claudio Abbado e ai Berliner Philarmoniker.