Un’isola metamorfica, ribollente al centro, come un gigantesco ombelico che risucchia l’attenzione dentro una misteriosa origine del mondo. Quest’anno Torinodanza Festival, in corso fino al 26 ottobre per la direzione di Anna Cremonini, ha aperto il suo viaggio con un respiro estatico. Complice del particolare mood inaugurale l’approdo alle Fonderie Limone di Moncalieri di Vessel, di Damien Jalet e Kohei Nawa, una collaborazione che ha regalato agli spettatori un’esperienza visionaria del corpo nella sua qualità scultorea e trasformista in stretto nesso con l’ambiente.
Jalet è tra quegli autori che hanno alle spalle la straordinaria fucina creativa dei Ballets C de la B di Alain Platel, è un coreografo dai molteplici interessi che spaziano dal teatro, alla moda, al cinema: sue le coreografie del rifacimento di Suspiria di Gaudagnino, ma anche la concezione di film autoriali come Mist, ideato come Vessel e Planet (wanderer) insieme a Nawa e presentato con Torinodanza al Cinema Massimo.

NAWA è un artista giapponese, a sua volta uno sperimentatore, scultore, scenografo, ideatore di istallazioni in cui il digitale si fonde con la spiritualità di antiche tradizioni. L’incontro tra i due è fecondo: Vessel ha come prima fonte il Kojiki, un antico testo giapponese sulla nascita dei miti e su tre dimensioni del mondo, quello sotterraneo dei morti, quello celeste e quello terrestre, collegate l’una con l’altra dal ciclo vitale. L’isola che appare agli spettatori dal buio è uno stimolo affascinante per l’occhio. Melmosa e biancastra è in movimento nel buco centrale, ma anche nel bordo è come se provocasse una spuma, una lava in microscopico movimento di cui si vuole carpire lo stato. Un’isola liquida? Solida? Certo è che suggerisce alla mente uno stato primordiale, un moto primigenio ottenuto da una massa di katakurico, fecola di patate mescolata all’acqua. Intorno, da sotto, ai lati, i corpi di sette danzatori sono partecipi dell’unione primitiva con l’ambiente. Gli intrecci di gambe, braccia creano figure pre-umane in trasformazione, quasi indistinguibili nella dinamica scultorea. I volti sono nascosti, le teste spariscono capovolte in corpi frementi nella muscolatura, nel respiro delle schiene, nelle contorsioni delle articolazioni.

Nelle due serate inaugurali Vessel è stato anticipato da Fuori campo, passeggiata performativa per gli esterni e gli spazi delle Fonderie Limone,

CON L’ISOLA e la sua natura lavica i sette sono in costante e tesa simbiosi, solo uno di loro mostra alla fine il volto: eretto al centro, ha un impatto divino, figura catartica, forse utopica, che l’isola stessa sembra aver partorito dal suo incessante fluire. Una ricerca originale, quella di Jalet e Nawa, che nel rapporto tra scena, trascendente metamorfismo del corpo e nessi con problematiche del nostro tempo come il rapporto perduto con l’ambiente, innesca anche associazioni stimolanti con fenomeni artistici del passato nati in risposta alla seconda guerra mondiale e allo scoppio della bomba atomica, dal butoh giapponese ai perché della visual art of motion di Alwin Nikolais.

NELLE DUE serate inaugurali Vessel è stato anticipato da Fuori campo, passeggiata performativa per gli esterni e gli spazi delle Fonderie Limone, guidata con spirito da Ambra Senatore, direttrice in Francia del Centre Chorégraphique National de Nantes, per scoprire fatti e persone dell’ex complesso industriale. Una storia vera è anche centrale nel prossimo lavoro alle Fonderie Limone: Broken Chord (27 e 28 settembre) dell’artista sudafricano Gregory Maqoma. Un racconto radicale tra arte e migrazione sulla storia dell’African Choir, un coro che ebbe successo nell’Inghilterra di fine Ottocento ma di cui si perse tragicamente la memoria.