La psicoanalisi nasce, con Freud, sulle ceneri del vincolo causale di Hume: da un punto di vista psichico «dopo questo» non significa «a causa di questo» ma «a causa di quell’altro», e forse di altro ancora. Le psiconevrosi, scopre Charcot, sono morbi «sine materia», non «sine causa». E tuttavia, aggiunge Freud, l’inconscio non è una causa qualunque localizzabile con precisione spazio-temporale. L’inconscio è la causa invisibile di tutta la vita psichica e, che sia invisibile, significa che è fisica senza essere organica. L’inconscio è una causa diffusa, «allargata» suggerisce di dire Laplanche nei due volumi appena pubblicati da Mimesis, entrambi con la traduzione di Alberto Luchetti: La sessualità allargata nel senso freudiano (pp. 308, € 24,00) e Nuovi fondamenti per la psicoanalisi La seduzione originaria (pp. 189, € 18,00). L’inconscio sessuale è infatti, a un tempo, una causa psichica e fisica, interna ed esterna, familiare e ignota, proprio come il primo altro con cui, nell’infanzia, abbiamo a che fare.

Il primato dell’altro sull’Io
Nel Progetto del 1895 Freud lo chiama «Nebenmensch», il soccorritore-malevolo, il prossimo-estraneo: dunque, un altro ambiguo, perturbante dirà nel 1919. E che lo sia allo stesso modo dell’inconscio, «luogo» in cui i contrari si mescolano esibendo una logica che non è quella classica, non deve stupire: il primo inconscio, l’inconscio «all’inizio», è sempre l’inconscio dell’altro. Laplanche lo scrive con la «a» minuscola per distinguerlo dal grande Altro lacaniano – troppo astratto e impersonale – e per correggere un certo solipsismo di cui sarebbe colpevole Freud: l’intrapsichico, spiega, è il prodotto della relazione con un altro esterno e questa relazione è primaria.
Iscrivendosi nel solco del pensiero francese del secondo Novecento, Laplanche afferma il primato dell’altro sull’Io e fa di questo primato il perno del compimento della rivoluzione copernicana intrapresa da Freud. La sessualità infantile, afferma, non è né solamente biologica né esclusivamente endogena perché, se così fosse, il centro di quell’Ego che, sotto i colpi della «giovane scienza», ha perduto progressivamente tutti i suoi privilegi (autonomia, trasparenza auto-fondatezza), resterebbe comunque garantito.

La situazione antropologica
Fedele allo spirito copernicano della psicoanalisi e, forse persino più realista del re, Laplanche ha insistito sul primato dell’altro nella formazione dell’anima umana. La psiche, dice, non è una monade idraulica perché, dal punto di vista sessuale, l’essere umano «gravita attorno all’altro». La teoria della seduzione generalizzata, ossia il contributo che Laplanche ha offerto alla psicoanalisi freudiana, è la teoria elaborata per render conto di questa gravitazione. Se la pensa come universale è perché la sessualità con cui si misura la sua teoria è più estesa rispetto a quella «precoce» cui Freud ricorre, fra il 1893 e il 1897, per spiegare l’isteria. La sessualità che interessa Laplanche riguarda la sua dimensione fantasmatica più che biologica, polimorfa più che perversa e, soprattutto, indifferente alle esigenze della procreazione. La battezza «sexuale» per sottolineare che viene prima della differenza dei sessi e dei generi e per rimarcarne il carattere anarchico. La seduzione che la concerne, pertanto, non può essere quella freudiana, almeno nella accezione che ipotizza l’abuso del figlio da parte del genitore. Se la gravitazione è universale è perché la seduzione è l’azione della sessualità allargata all’interno di quella che Laplanche chiama «situazione antropologica fondamentale».

Convinto che la seduzione sia il fatto più primitivo, Laplanche sostituisce al padre pedofilo della teoria della seduzione di Freud e alla madre necessariamente seduttrice degli anni in cui questa teoria viene ripensata, una situazione più universale. La seduzione, spiega, in tanto è originaria in quanto si fonda su «una situazione a cui l’essere umano non può sfuggire». Laplanche la definisce «antropologica» perché riguarda ognuno di noi e «fondamentale» nella misura in cui ci determina come umani.

Seguendo Kant, lo psicoanalista francese intende l’attributo antropologico come il pensiero dei fondamenti radicali dell’essere umano e, fra questi, il più essenziale è che l’uomo nasce in un mondo sessuale che eccede strutturalmente le sue capacità di farvi fronte. L’omeostasi dell’infans è fatalmente turbata dalla sessualità incosciente del caregiver ed è per questo che, malgrado la simultaneità dell’interazione fra i due, il disequilibrio è inevitabile.
Pur prevedendo una reciprocità nella forma dell’attaccamento, la relazione adulto-bambino si alimenta, per Laplanche, di un’asimmetria insopprimibile: l’inconscio è appannaggio di uno solo, l’adulto, il quale, perciò, è un seduttore. La comunicazione tra adulto e infans è dunque unilaterale. I messaggi dell’adulto sono, cioè, privi di destinatario perché il ricevente, assieme al suo inconscio, sorgeranno après-coup, a cose fatte e traduzione avvenuta.

Per Laplanche abbiamo un inconscio grazie a una più o meno consapevole seduzione da parte di un altro reale-prossimo-estraneo, e la nostra vita si iscrive sin dalle origini nel «dopo» di un colpo primordiale che resta, per sempre, à traduire. Il primum movens dello psichismo è infatti un significante designificato che, distanziandosi dal suo maestro Lacan, Laplanche chiama «messaggio enigmatico». Questo si deposita nella psiche nascente e domanda di essere tradotto ma, all’azione seduttiva esercitata dall’altro «significativo», corrisponde una reazione traduttiva per definizione incompleta. Ciò che viene percepito o sentito nell’infanzia porta in sé qualcosa che deve essere compreso più tardi, eppure la comprensione non sarà mai adeguata. L’inconscio è anzi il residuo di questa operazione ermeneutica. La traduzione fallisce e la rimozione, per il Freud della lettera 112 del 6 dicembre 1896, non è altro che questo fallimento. Quando è originaria, essa produce l’inconscio cosiddetto «enclavé», intercluso, per il quale Laplanche, insieme a Christophe Dejours, sente il bisogno di inventare una terza topica; quando invece è ordinaria, ossia secondaria, essa genera l’inconscio propriamente detto: l’inconscio rimosso.

Da qui a Harold Bloom
Laplanche, ispirato dalla lettera 112 e dal settimo capitolo dell’interpretazione dei sogni, ovvero dai due luoghi freudiani in cui l’apparato psichico è presentato come un complesso apparecchio di codifica e decodifica di segni prima che di parole, lo definisce «un quasi linguaggio non strutturato» perché, invece di organizzarsi come un linguaggio (è la tesi di Lacan) l’Es risulta, piuttosto, da ciò che resiste a questa strutturazione. Ad essa, del resto, bisogna guardare come Harold Bloom nel suo L’angoscia dell’influenza, dove ha letto l’invenzione poetica come un processo sempre parziale di revisione. Il fulcro della relazione tra quelli che il critico statunitense chiama «strong poets» si basa sul fatto che uno dei due ha la «sfortuna» di venire dopo l’altro. Tuttavia, post hoc non significa propter hoc: nemmeno per Bloom. Il poeta tardivo, quando dotato di una voce significativa, si smarca dall’influenza del poeta che lo precede con un atto creativo causato da quell’altro, il suo inconscio, che lo seduce senza abbandonarlo mai.