Le conseguenze di un bacio: uno fra i più appassionati e celebri della storia, ma anche fra i più drammatici, dalle conseguenze, appunto, devastanti, che Lorenzo Renzi analizzò con grande finezza in un bel libro di qualche anno fa. La saga da cronaca nera di provincia sul duplice omicidio di Paolo e Francesca, colti sul fatto dal marito Gianciotto, nella trasfigurazione geniale che Dante ne fece nel V canto dell’Inferno diventò l’emblema della perdizione dietro al fascino travolgente della letteratura. E la condanna di Dante non colpisce i due amanti, per la compassione dei quali sviene: colpevole è semmai la letteratura cortese, quel libro Galeotto che Paolo e Francesca stanno leggendo: «Noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse; / soli eravamo e sanza alcun sospetto. / Per più fïate li occhi ci sospinse / quella lettura, e scolorocci il viso; / ma solo un punto fu quel che ci vinse».
Il «punto che vinse» Francesca da Rimini, e poi (quasi incredibilmente, attraverso Don Chisciotte, l’altro archetipo del lettore smodato) anche Emma Bovary, Anna Karenina, la Effi Briest di Theodor Fontane, fu la confusione fra la vita e la letteratura. Queste eroine, al pari dell’hidalgo che vuole trasformarsi nell’ultimo cavaliere imitando alla lettera Lancillotto e Tristano e gli altri erranti, vivono come se la vita fosse un romanzo, ricalcando le gesta e riecheggiando le voci dei «libri galeotti».

FINALMENTE anche noi possiamo leggere, per la prima volta integralmente in italiano, il «libro galeotto» che Paolo e Francesca sfogliavano quel giorno fatale, tanti secoli fa: Artù, Lancillotto e il Graal, ciclo di romanzi francesi del XIII secolo (a cura di Lino Leonardi, I volume, La storia del Santo Graal, La storia di Merlino, Il seguito della storia di Merlino, traduzione, introduzioni e commento a cura di Carlo Beretta, Fabrizio Cigni, Marco Infurna, Claudio Lagomarsini, Gioia Paradisi, Einaudi, pp. 1115, euro 90).
Quello che si usa chiamare Vulgata, o Lancelot-Graal, è un libro immenso, fra i più massicci e articolati che la letteratura medioevale ci abbia lasciato. E anche fra i più fascinosi e labirintici, da far perdere la testa nell’intrico di storie, di episodi preesistenti incastrati con formidabile spirito architettonico, di anticipazioni, di riprese, di richiami, di intarsi. Un mosaico sterminato, però dinamico, in movimento, organizzato con una teoria e una tecnica del «montaggio» che sarebbe piaciuta a Ejzenštejn: un capolavoro di quello che anni fa, parlando soprattutto dell’epica francese, Nicolò Pasero definì il cinema del Medio Evo. L’invenzione di strutture cicliche basate su prequel e sequel, che noi crediamo tipica dei serial americani, prima radiofonici, poi televisivi, inaugurati fra gli anni Trenta e Sessanta del Novecento, in realtà fu sperimentata nel romanzo in volgare a partire dal Duecento, proprio con il ciclo del Lancillotto-Graal.

Per ora, a vero dire, la storia appassionata che sedusse Paolo e Francesca non l’abbiamo ancora: occuperà i volumi II e III, sui IV previsti per l’edizione einaudiana, alla quale hanno collaborato, sotto la guida di Lino Leonardi, alcuni fra i nostri migliori studiosi di letterature romanze. Per arrivare al «punto che vinse» i due cognati fedifraghi, la pagina del bacio di Lancillotto a Ginevra, bisognerà pazientare. Intanto ci si può immergere in questo fiume impetuoso dalle mille correnti, e godersi il piacere della ciclicità di un’«opera grandiosa», che (sintetizza bene Leonardi nell’Introduzione generale) «riutilizza materiali folclorici e narrativi della tradizione arturiana e graaliana, e li organizza in una struttura senza riscontro nella letteratura dell’epoca», sperimentando «per la prima volta, con un’estensione fino ad allora impensabile, i meccanismi narrativi della prosa di finzione in una lingua volgare», facendo interferire il «romanzo-biografia» e il «romanzo-mondo». Questa Vulgata arturiana, nota a Dante e alle generazioni successive, che sarà superata solo dalla rivoluzione narrativa dell’Orlando Furioso, occupa un posto rilevante alle origini della forma-romanzo, «il genere per eccellenza con cui il sistema culturale occidentale ha tentato di interpretare letterariamente la realtà dell’uomo e della storia».

LE COMPONENTI del romanzo in prosa con cui nasce la letteratura moderna, dopo l’esperienza dei romanzi versificati del XII secolo (a partire da Chrétien de Troyes, Robert de Boron, Wace, ai quali spesso il Lancelot-Graal si ispira), ci sono tutte: armi e amori, potere e tradimento, genealogia e sacralità, diabolico e quotidiano, mistero e avventura, incognito e ricerca. La macchina narrativa della forma-romanzo, che si usa definire entrelacement, «incastro», «intreccio», si fonda proprio sul ricercare del cavaliere, il quale annoda i fili della sua molteplice aventure cercando ventura, «ciò che deve avvenire»: e così va en quête del senso del mondo. È proprio il senso della realtà e dell’esistenza, la restituzione di una perduta armonia dell’universo, che Lancillotto e gli altri cavalieri della Tavola Rotonda ricercano, per perfezionare sé stessi e proteggere il mondo intero, nella foresta sconosciuta, la Brocéliande arturiana, che la «selva selvaggia e aspra e forte» in cui si avventura il viandante della Commedia sublimerà svolgendo l’immagine su un livello di allegoria filosofico-teologica.

Nelle innumerevoli ramificazioni narrative dell’oceanica Vulgata, tenute insieme da un geniale architetto di testi, almeno due linee si intersecano continuamente: la vicenda mirabile di Lancillotto, «il migliore dei cavalieri terreni» che vive la sua umanità generosamente, «in modo estremo», inferiore in questo solo a suo figlio Galaad, «il cavaliere celeste», e la misteriosa storia del Graal, che nel Prologo della Storia del Santo Graal viene dichiarata copia autentica di un Libro scritto da Cristo e consegnato all’eremita-narratore un giovedì santo perché lo trascriva prima dell’Ascensione, «giorno in cui il divino manufatto lascerà per sempre la terra. Come nelle ouvertures del teatro musicale», commentano Infurna e Lagomarsini, «il prologo anticipa in forma narrativa i temi del vasto romanzo». E con straordinaria modernità, è lo stesso racconto a «parlare» dentro il Libro: «Se qualcuno vorrà chiedere al racconto… il racconto risponde dicendo che…». La magia e il meraviglioso si sovrappongono in un libro che si pretende d’origine celeste, e che gioca con il naturale e con il soprannaturale mescolando il piano storico e quello profetico.

COME RICORDA Fabrizio Cigni nella sua fine introduzione al Seguito della Storia di Merlino (opera incorporata nella macchina perfetta del ciclo dopo che le due conclusive, La ricerca del Santo Graal e la Morte di re Artù, erano già state scritte), «non è escluso che l’immaginario contemporaneo all’autore fosse fortemente influenzato dal mito che si era creato attorno alla figura storica di Filippo Augusto di Francia»: ed è straordinario pensare che il matrimonio di questo grande sovrano con la contessa Elisabetta di Hainaut possa aver dato vita alla storia delle nozze di Re Artù con Ginevra. Sullo sfondo del racconto c’è sempre la voce del Mago Merlino, il quale detta al suo maestro Blaise le avventure dei cavalieri della Tavola Rotonda; dopo essere state scritte esse vengono disposte da Merlino «lungo tutti i percorsi dove le avventure dovevano accadere»: «e per questo noi siamo ancora a conoscenza di queste storie», dice il Racconto.

INFINE scompare anche lui, il figlio del Diavolo, dalle «sembianze mutevoli» come la sua stessa narrazione. Rimane solo la sua voce, che risuonerà a lungo nei secoli. Fra 1899 e 1900, nella sua prima opera, L’Enchanteur pourrissant, Guillaume Apollinaire farà risuonare «la vera voce inudibile dell’anima dell’incantatore», il Merlino che continua a parlare, nascosto vivo nella tomba. Ma già nel Seguito della Storia di Merlino, come scrive Cigni, «la sua voce disincarnata sfuma nel nulla, e Merlino cessa di essere ’autore’ del testo, e Blaise non può più intervenire come suo ’trascrittore’. Blaise e Merlino vengono rimpiazzati da un modo nuovo e del tutto secolare di scrivere la storia, quando i cavalieri che ritornano dalle loro avventure dettano le loro storie agli scribi di corte».