Nell’estasi del liscio, incontri spericolati tra jazz e folklore
Incontri Riccardo Tesi parla del secondo omaggio al genere che arriva a 29 anni dal primo disco. Questa volta curato insieme a Claudio Carboni
Incontri Riccardo Tesi parla del secondo omaggio al genere che arriva a 29 anni dal primo disco. Questa volta curato insieme a Claudio Carboni
Parlare di liscio è stato – per molto tempo, un po’ come discutere intorno al nazionalpopolare, una ’muzak’ codificata e identificata su base regionale. Pregiudizio – come quello verso certe sonorità folkloristiche, sdoganato dalla bontà di ensemble e progetti mirati che sono andati oltre i cliché tramandati da generazioni più adulte. Riccardo Tesi (organetto) e Claudio Carboni (sassofoni) tornano a quasi trent’anni di distanza dal primo volume sul luogo del delitto,con Un ballo liscio vol. 2 (Egea). Quindici tracce selezionate dal patrimonio romagnolo che alla tradizione affiancano la sperimentazione, dando vita a combinazioni sofisticate ma accessibili. Capita così che una rallentatissima Romagna mia venga trasfigurata dalla voce di Tosca o che l’interpretazione di Maurizio Geri (anche chitarrista negli altri brani) regali a uno standard come Verde luna – dai mille rifacimenti – nuove e intriganti nuances.
Quindici brani di repertorio rielaborati e suonati per orchestra e ensemble,ospiti Paolo Fresu
DISCO di peso con strumentisti di rango: Massimo Tagliata (pianoforte e fisarmonica), Nico Gori (clarinetto), Roberto Bartoli (contrabbasso), Gianluca Nanni (batteria e percussioni), l’ensemble Alborada (quintetto d’archi) e le partecipazioni di Paolo Fresu (tromba), Francesco Savoretti (percussioni) e Fabio Galliani (ocarine). «Il primo volume – spiega Riccardo Tesi – nasceva dalla proposta della mia casa discografica di allora, la Selex, di produrre un’operazione simile a quella fatta in Francia dedicata alla riscoperta del Musette francese (una forma di danza diffusasi tra il 1600 e il 1700, ndr). Io ho puntato subito i piedi perché il liscio era una musica che odiavo. Come tutti quelli che vengono dal rock o da altre musiche, il liscio era considerato – anche dalla cultura ufficiale, come kitsch.
In Italia se parli di musica etnica in pochi sanno cos’è, se parli di liscio tutti sanno, tutti lo conoscono ma ne hanno un’idea estremamente stereotipata e riduttiva. Invece ha una storia interessante, lunga e paradossalmente non è stato neanche molto studiato dalla etnomusicologia. Il disco che feci nel 1995 ebbe un grande successo di critica e anche di pubblico perché piacque sia al mondo del popolo del liscio, sia ai jazzisti e ai musicisti folk e forse all’epoca aprì una piccola strada. Se non altro una riflessione sull’atteggiamento da avere nei confronti di questa musica. Ora, devo dire, in questi trent’anni sono successe un sacco di cose in questa direzione, come il progetto di Santa Vittoria. Poi va anche ricordato che l’Emilia Romagna sta lavorando per il riconoscimento del Liscio come patrimonio Unesco, diventando anche un fatto identitario. È nata cosi l’idea di cimentarsi in un secondo volume».
“Se parli di liscio tutti sanno, tutti lo conoscono ma ne hanno un’idea estremamente stereotipata e riduttiva. Invece ha una storia lunga e molto interessante”
Stavolta però l’album è frutto di una collaborazione a quattro mani perché Claudio Carboni, nel primo disco solo musicista, viene coinvolto nella produzione in toto del disco: «Lui nasce proprio come sassofonista di liscio e lo conosce molto bene, sicuramente meglio di me. Io invece porto uno sguardo più da esterno». Sorprende l’atmosfera intima che pervade la versione rallentata di Romagna mia: «È stato l’ultimo pezzo che abbiamo inciso. Nel primo volume era solo evocato nell’intro, qui abbiamo cercato di renderla in maniera personale pur mantenendo il ritmo del valzer. Ci siamo indirizzati sulla forma canzone – e qui l’esperienza fatta in passato con De Andrè e Fossati ci è servita moltissimo. Tosca poi ha dato attraverso la sua interpretazione, il tocco da fuoriclasse».
A SUONARE molti musicisti di estrazione diversa, dal jazz alla classica passando per l’etnica. Tante anime e stili da far convivere in un’orchestra, impresa non semplice…: «Dipende. Il fatto di avere un’orchestra multietnica ha favorito l’approccio, perché il liscio nasce come musica classica direttamente da Strauss e dai musicisti classici che suonavano i primi balli di coppia. Poi piano piano questo genere è sceso verso le classi popolari, quindi si è mescolato con il folk e io appartengo a quell’area. E poi è arrivato il jazz, con personaggi come Henghel Gualdi. In questo progetto abbiamo coinvolto un grande clarinettista jazz come Nico Gori. Comunque abbiamo chiesto a tutti di esprimere la propria creatività, ma al contempo di non aver vergogna di suonare il liscio».
NEL DISCO forte è l’impronta di Claudio Carboni: «Il liscio è musica difficile da eseguire, devi conoscerla bene così come Claudio che ha un fraseggio come sassofonista importante. Anche perché il liscio vive molto sul virtuosismo, quindi è impegnati va sotto un punto di vista strettamente tecnico». Riccardo Tesi è stato anche docente in conservatorio: «Per certi versi è stata un’esperienza esaltante per altri deludente. Ho insegnato in Calabria il mio strumento, l’organetto diatonico che lì è molto diffuso. Avevo 17 allievi di un livello altissimo, perché vengono dal mondo delle gare quindi hanno una tecnica veramente molto forte. Quello che mancava però era una cultura musicale e a organicistica, una visione internazionale e anche contemporanea. E poi soprattutto il gusto della musica, staccato dal mondo delle gare, dove privilegia solo la velocità e lo staccato. E quindi abbiamo lavorato per tre anni con questi allievi in una maniera fantastica. Quello che invece è stato un po deludente è l’approccio con la struttura. Da una parte c’era un atteggiamento come dire, molto coraggioso perché hanno aperto una sezione sulla musica tradizionale. Ma restava sempre una mentalità molto scolastica, dove comunque alla fine la musica classica impera e il resto sono ’musichette’. Un pregiudizio di base, purtroppo sempre presente».
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