Nella Casa del Bel Cortile degli scavi di Ercolano, l’archeologo Amedeo Maiuri che circa novanta anni fa (era il 16 maggio del 1927) aveva iniziato con entusiasmo a portare alla luce la città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C, volle allestire un antiquarium, esponendo alcuni oggetti ritrovati durante i lavori. Fedele al principio di Aristotele secondo cui è la meraviglia il motore della conoscenza, lo studioso nel 1956 aveva immaginato una macchina del tempo a forma di frammenti, piccole statue, oggetti della quotidianità. Ercolano doveva somigliare a un tessuto urbano vivente, un museo all’aperto che respirava, nelle sue «insulae» e domus residenziali, insieme agli abitanti del XX secolo.

RITORNO AL FUTURO
È a lui e a alla sua idea di «estasi» della cronologia che è dedicato quella sorta di festival Maiuri pop up Expanded Interiors (in collaborazione con il team di Herculaneum Conservation Project) che ha chiamato l’arte contemporanea dentro gli spazi archeologici del Parco. Così dopo le installazioni di Michele Jodice – un percorso luminoso guida nella bottega di Messenius Eunomus dove alcune silhouette risvegliano i fantasmi dell’archeologo, mentre nel Panificio di Sextus Patulcius Felix (qui Maiuri espose le teche col grano carbonizzato rinvenuto sul luogo) riappaiono alcuni scavatori della prima ora di Resina – a concludere un anno di iniziative arriva l’artista Catrin Huber (New Castle University). Studia, osserva, si prepara e prova a creare un ponte fra passato e presente, raccogliendo riproduzioni di opere e utilizzando le tecniche moderne, comprese repliche in 3D. La sua struttura filiforme, che mette in scena quel piccolo puzzle di storia antica, si «appoggia» alle architetture rintracciate sotto il disegno degli affreschi, scansionando gli spazi alla maniera dei romani. Dal 14 luglio, Huber si sposterà anche a Pompei, interagendo questa volta direttamente con le pitture murali.
Certo, resta il fatto che la Casa del Bel Cortile custodisce da sola gli appigli necessari allo «stupore», a prescindere dall’arte contemporanea – l’essere stata oggetto di ristrutturazioni fin dall’antichità che hanno reso misteriosa la sua destinazione d’uso, l’atrio mosaicato, quelle scale che proiettano lo sguardo verso il cielo, i dipinti parietali in terzo stile.
Il sito di Ercolano – dove non si sono volatilizzati materiali organici come legno, cibo e papiri sotto il manto di fanghiglia che li ha protetti per quasi due millenni – sembra comunque ripopolarsi, di visitatori e voci remote, sperimentando sulla propria pelle una nuova esistenza. Ci sono le giornate gratuite che invitano i residenti a rendere omaggio alla loro stessa storia lì disseminata, itinerari sensoriali in via di definizione, le passeggiate notturne, una serie di cantieri aperti che hanno come obiettivo la difesa di un patrimonio e anche la sua fruizione e comunicazione. Perché, se un tempo nelle città vesuviane c’era un turismo consapevole, di élite, oggi i numeri sono cambiati (da aprile 2017 a marzo del 2018 le presenze hanno superato il mezzo milione) e lo «sbarco di massa» porta soldi con la bigliettazione ma crea pure un ventaglio di problemi cui bisogna in qualche modo fare fronte, trovando le soluzioni adatte, caso per caso. Il Parco rischia di essere troppo sottoposto a stress e la mancanza di personale (pochi i custodi) diminuisce la capacità di «educare» il turista alla non aggressione del bene.

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IL TEMPO DELLO STRESS
Con l’arrivo del direttore Francesco Sirano, Ercolano è diventato un sito autonomo, si è staccato da Pompei e ha smesso di essere la «Cenerentola» dei desideri archeologici (purtroppo, invece, Oplontis e Stabia non godono della medesima rinascita e, nonostante la bellezza delle loro case e pitture, rimangono abbandonati a loro stessi). È valorizzato, ma il pericolo in agguato è l’usura. Così, spiega il direttore, sono previsti alcuni progetti di restauri (la casa del Bicentenario), interventi di manutenzione in urgenza, ma soprattutto un piano di manutenzione ordinaria di tutto il sito, «quel lavoro che gli operai di Maiuri facevano quotidianamente e che oggi, a seguito di pensionamenti vari, non si è più in grado di portare avanti. Solo due le persone a disposizione».

ITINERARI DELLA CURA
Mancano, ad esempio, gli esperti del sistema idrico. Eppure, a Ercolano ci sono pompe in azione giorno e notte per drenare l’acqua dell’antica spiaggia (l’ex riva del mare, ora prosciugata, dove furono ritrovati i famosi trecento scheletri, abitanti in fuga morti di colpo quando la nube di circa 500 gradi si è abbattuta sui loro corpi) e altre pompe sono nella villa dei Papiri, non aperta al pubblico perché mai messa in sicurezza. «La rivoluzione qui – continua Sirano – è quella di passare da interventi in risposta a problematiche che si vanno via via creando a una programmazione di lavori, far diventare sempre di più il restauro qualcosa di interno. Da settembre, gli scavi di Ercolano si trasformeranno in un cantiere-scuola dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro. Non è una novità: la città è sempre stata un luogo d’eccellenza e, dai tempi dei Borboni fino a Maiuri, era un laboratorio in cui si potevano sperimentare tecniche e idee». E siccome il miglior modo per distruggere una casa romana è quella di chiuderla, come sosteneva Maiuri medesimo, ci si attrezza per combattere lo stress indotto dal turismo. L’idea – secondo il direttore – è quella di alternare aperture e chiusure, mostrare le domus a rotazione. E la chiave imprescindibile rimane la manutenzione ordinaria.
Ma quali sono gli elementi di crisi del sito, quelli che destano più preoccupazione, bisognosi di una immediata cura per poter trasmettere quel patrimonio alle generazioni future? «A Ercolano si conservano ancora i piani alti delle case, con i loro problemi di staticità e ci sono da conservare gli elementi lignei di decoro e strutturali (un unicum nella storia antica). Secondo ciò che è riportato in alcuni documenti dell’Ottocento, la commissione borbonica aveva rilevato già alcuni problemi, ma i costi li dissuasero: a Ercolano preferirono Pompei. Quelle criticità furono risolte brillantemente da Maiuri, ma è passato molto tempo dai restauri effettuati allora. Tra l’altro, negli anni Trenta si pensava che il cemento armato fosse eterno: dove è stato possibile, lo abbiamo eliminato e sostituito con elementi nuovi, compatibili con l’insieme degli scavi».

PAPIRI E PALCOSCENICI
Al momento, uno dei problemi più urgenti è quello del legno carbonizzato, presente ovunque nel Parco. Maiuri lo trattò con paraffina, oggi dove riceve la luce del sole subisce un «effetto candela», si scioglie. Il budget per agire scientificamente e con tempestività non manca: dieci milioni di euro sono stati ereditati da Pompei al momento del distacco, come fondo ordinario della soprintendenza e poi ci sono altri dieci milioni del Cipe.
Fra i gioielli ercolanensi, però, continua a essere chiusa la celeberrima Villa dei papiri, residenza di lusso dove fu rinvenuta una biblioteca antica di vastissime proporzioni (circa 1800 papiri). Il grande punto interrogativo che riguarda la dimora (assegnata secondo alcune fonti al suocero di Giulio Cesare) è la sua posizione e gli scavi improvvidi ereditati dagli archeologi odierni. Le sue pareti sono a picco, poggiano su un canyon; oltretutto, il sito presenta una lettura confusa e andrà ricontestualizzato dentro al Parco, altrimenti somiglia a un corpo espulso.
Al pubblico, riaprirà invece il Teatro: a partire da 9 giugno, in forma sperimentale, piccoli gruppi potranno calarsi nelle viscere della terra per esplorare quel luogo dal fascino ombroso. Sarà un salto nel tempo, riscoprendo le emozioni di chi faceva il Grand tour e si «calava» senza illuminazioni in quegli stretti cunicoli. Lo scopo, dice ancora Sirano, sarà quello di attirare l’attenzione per poter programmare i restauri necessari non solo per il teatro ma anche per l’edificio borbonico.