Tutto comincia durante una vacanza, senza essere previsto, come spesso capita con le storie importanti della vita: un viaggio a Roma, per fuggire il dolore della fine di un amore, l’estate, i passi che una sera conducono proprio lì, in quel piccolissimo locale a Trastevere dove si sta stretti gli uni agli altri e le «regole» rimangono fuori dalla porta privilegiando il desiderio. Si beve, si balla, ci si sente subito a casa: non importa se si sta da soli o con gli amici, conoscersi è un istante, ritrovarsi è ancora più facile, la notte dopo si ricomincia come in un incantesimo, come in un gioco che potrebbe non finire mai- Chloé, la protagonista di questa storia, in quell’estate dello scorso secolo, 1999, ha una ventina di anni, arriva da Parigi e lo Stardust con le sue anime gioiose che danzano sul bancone seguendo la musica gitana la conquista: da turista decide che a Roma ci resterà, per un po’, forse per sempre.

«STARDUST MEMORIES» Souvenir della notte trasteverina, podcast in quattro puntate – da stasera alle 19.50 su Rai Radio 3 all’interno della rassegna di Tre soldi, I primi vent’anni del secolo – di Chloé Barreau (con i contributi di Mattei Nucci e Tony Allotta) è un racconto alla prima persona, con la voce narrante dell’autrice, che nell’intimità di un vissuto, tra gli incontri e le traiettorie del suo cuore «a pezzi», fissa un frammento di storia della città, Roma, nel passaggio verso il nuovo millennio, con l’incanto e l’entusiasmo di chi è appena arrivato – «L’Italia è unica – scrive al fratello – sopravvive malgrado lo sforzo dei suoi politici di rovinarla» -ma anche le incertezze di capire come funzione quell’«intimità sospetta» della città e dei suoi abitanti.

REGISTA di documentari (La colpa di mio padre; Femminile singolare), autrice televisiva, docente, doppiatrice Chloé Barreau – che vive ancora Roma – torna qui a quel primo incontro, e lo fa nella forma di un diario punteggiato dai momenti di una quotidianità che appare – ai suoi occhi – sempre straordinaria: nuovi amici, il dialetto, le trattorie, il cielo blu anche d’inverno, l’aura eterna della città, di Roma si è innamorata, un colpo di fulmine. «La mia vita batte a un ritmo diverso» – scrive ancora al fratello. E il centro di questo nuovo movimento è sempre lo Stardust, con le sue notti scatenate – «una zattera alcolica» guidate come in una «prova d’orchestra» felliniana dalla sua proprietaria, Anna. «Era un piccolo pezzo di notte romana aperto sul mondo» ricorda Chloé.

E intanto i giorni corrono, diventano mesi, lei lavora alla libreria francese, ha dei nuovi amici importanti, Tony, il suo angelo, che l’ha accolta la prima volta allo Stardust, il «posto delle fragole» di vicolo de’ Renzi, Paola che suona la chitarra in giro, e tanti altri; ogni notte Chloé è lì, e filma, compone questo «archivio» esistenziale che diventa, almeno un po’, anche quello di una generazione: cosa era e cosa è accaduto due decenni dopo.

MA NON È la nostalgia che cercano le parole della sua narrazione, quanto appunto nelle voci registrate allora e nella «distanza» dolce del ricordo oggi, è un periodo storico che prende forma, che si disegna, la meraviglia di quelle scoperte è anche quella delle possibilità, di un orizzonte aperto, per chi lo attraversa e per il mondo. La trama delle voci, il paesaggio sonoro che ascoltiamo di musica, canzoni, confidenze, casino nel corso di quell’anno che si tuffa nell’inizio del millennio, il capodanno del 2000, che per Chloé è anche quello di un nuovo amore, si fa racconto collettivo: di un’epoca, di un modo di essere, di vivere le relazioni svanito pian piano – quando anche lo Stardust chiude, nel 2005. Di cosa è avere vent’anni, con tenerezza, amore, impertinenza, l’invenzione della vita che si fa scrittura.