Gentilissima Direttrice,
A seguito di alcune pubblicazioni su il manifesto (l’ExtraTerrestre 11 luglio, «Buon vino e cattivo gioco», ndr) a firma di alcuni suoi collaboratori, mi permetto di riportare di seguito alcune considerazioni, in qualità di Presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco.

Nel pieno rispetto della libertà di opinione e con la massima disponibilità al confronto, avrei preferito che le argomentazioni riportate negli articoli fossero supportate da un maggiore approfondimento.

Credo che certi fatti debbano poter essere dimostrati e verificati, come noi da alcuni anni cerchiamo di fare con aggiornamenti periodici al Dossier Conegliano Valdobbiadene che allego, consultabile anche da qui, dove le nostre affermazioni sono sostanziate da fonti qualificate, competenti in materia e oggettivamente indipendenti.

Perché non richiedere altrettanto (fatti certi e documentati da fonti autorevoli) a chi afferma ciò che ad esempio riprende il dott. Maurizio Giufrè che: «…imprenditori e politici che sono riusciti a procurare così visibili danni oltre a quelli occulti nelle falde acquifere e nell’aria per colpa dei veleni chimici impiegati…».

Se le periodiche analisi sanitarie ufficiali attestano il contrario? Oppure perché sempre il dott. Giufrè accetta una dichiarazione così generica come: «In un atto comunale del 1826 riferito a Conegliano…» quando nel nostro Dossier ci si riferisce al Catasto napoleonico e al Registro Nazionale del Paesaggio Rurale e Storico o alle foto aeree? Non è corretto scrivere… «Il singolare riconoscimento delle colline trevigiane, rovinate dalla monocoltura delle bollicine ma premiate dall’Unesco come «patrimonio dell’umanità» quando è di oltre il 30% la superficie boscata ricadente nel territorio di produzione del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg.

Come si fa a parlare di «modello agricolo industriale» senza che il dott. Francesco Bilotta ne chieda merito, quando le colline del Conegliano Valdobbiadene sono significativamente caratterizzate dalla «viticoltura eroica» ovvero su pendenze talmente erte da impedire la meccanizzazione e dove oltre 3.000 viticoltori sviluppano un’economia diffusa in questo territorio e non certamente latifondista? Perché Bilotta non chiede merito di quali siano i dati certi e verificabili che supporterebbero frasi come: «Nella regione del Prosecco Docg i vigneti coprono sia le aree urbane che quelle collinari, dove vengono utilizzati pesticidi pericolosi che producono effetti negativi sulla salute della popolazione locale e sulla qualità della vita nella regione?».

Perché queste affermazioni non sono dimostrabili in alcun modo, mentre è oggettivo che i 15 comuni dell’area della Docg hanno messo fuorilegge il Glifosato – nonostante sia ancora permesso dalle autorità italiane ed europee – decisione che ne fa del Conegliano Valdobbiadene l’area più estesa in Europa ad essersi liberata dall’impiego di questo diserbante.

È curioso che sempre il dott. Bilotta asserisca che «l’European Consumers riunisce le associazioni europee dei consumatori» senza verificare prima sul loro stesso sito quali siano le presunte associazioni che compongono questa organizzazione. Giustamente e legittimamente si chiede a organizzazioni come il nostro Consorzio di dimostrare quanto affermiamo; ma perché non fare altrettanto con chi, talvolta senza titolo alcuno, fanno passare per «fatti» loro indimostrate fantasie?

Nuovamente ci permettiamo di suggerire di chiedere sempre riscontri fattuali, come noi cerchiamo di fare con il nostro Dossier e vi invitiamo a visitare le colline del Conegliano Valdobbiadene per discutere in concreto sulle varie tematiche emerse.

Un cordiale saluto,

Innocente Nardi, Presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco

La replica di Maurizio Giufrè

Ha ragione il Presidente Innocente Nardi a lamentarsi di richiedere «un maggiore approfondimento»: purtroppo un quotidiano ha spazi e tempi di lettura limitati. Nel merito delle osservazioni sollevate sulla mia preoccupazione dei «visibili danni» denunciati, questi si riferiscono al paesaggio e unicamente a questo.

Comprendo che ciò interessi relativamente poco a un industriale del settore vinicolo, invece avrebbe dovuto far ragionare la Commissione Unesco, i cui membri credo non si siano soffermati a sufficienza sulle pagine di Emilio Sereni e di Renato Zangheri.

Per quanto concerne invece i danni «occultati nelle falde acquifere e nell’aria per colpa dei veleni chimici» resto fedele alla lezione di Giulio Maccacaro che «c’è solo un Mac scientificamente accettabili ed è quello zero». Pertanto sulle «analisi sanitarie ufficiali» sarebbe ora che il Consorzio, magari in accordo con le associazioni locali e i cittadini, si dotasse di esperti indipendenti per le sue valutazioni ambientali ed epidemiologiche: meno marketing e più scienza.

Per concludere sulle indagini storiche effettuate per il Dossier diversi studi prodotti dalle Università di Padova e una più attenta consultazione dell’Archivio di Stato di Venezia avrebbero confermato quanto ho scritto sulla radicale trasformazione che ha subito il paesaggio collinare di Conegliano e Valdobbiadene per le solo ragioni del profitto. Consegnare un’immagine del tempo-che-fu, come ho fatto, non è grave, ma far credere che è quella dell’oggi è tradire la verità storica.

Maurizio Giufrè

La replica di Francesco Bilotta

Negli ultimi anni la coltivazione della vite nelle colline trevigiane, dove si produce il Prosecco Superiore, si è sempre più connotata per il suo carattere di monocoltura intensiva che ha pervaso ogni ambiente disponibile. Il Dossier Conegliano Valdobbiadene, a cui il Presidente Nardi ci rimanda, fornisce i dati di questa esplosione produttiva. Nel 2011 la superficie coltivata a vite nel Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg era di 5754 ettari, mentre nel 2018 è arrivata a 8446 ettari, con un incremento del 40% e raggiungendo la sua massima espansione.

Tutto questo ha avuto un impatto sul territorio e le popolazioni per il crescente impiego di pesticidi e fertilizzanti di sintesi, sempre più a ridosso dei centri abitati. Il Protocollo Vinicolo del Consorzio di Tutela, attuato a partire a partire dal 2011, ha affrontato alcuni problemi relativi all’impatto ambientale delle coltivazioni, come la decisione presa nel 2018 di vietare l’uso di erbicidi a base di glifosato nei 15 comuni trevigiani. Il Presidente Nardi, che è al suo terzo mandato alla presidenza del Consorzio di Tutela ed è un importante viticoltore, sa bene che questo non è stato sufficiente a rassicurare le comunità locali e le associazioni ambientaliste. I danni alla salute umana e all’ambiente, causati da pesticidi, sono oramai ampiamenti documentati dagli Istituti di ricerca indipendenti.

La conversione al biologico è una strada obbligata per la viticoltura trevigiana, non solo per tutelare la popolazione, ma anche per salvaguardare le importanti quote di mercato che sono state conquistate. Attualmente nelle colline del prosecco solo il 3% della superficie viene coltivata a biologico. Non comprendiamo, inoltre, perché il Presidente Nardi parli di “presunte associazioni” riferendosi all’European Consumer, lasciando intendere che non siano sufficientemente autorevoli ad esprimere valutazioni.

Le associazioni che aderiscono sono organizzazioni di consumatori che operano in conformità con le norme dei loro Paesi. Per l’Italia aderiscono il Movimento consumatori, Federconsumatori e Cittadinanzattiva.

Francesco Bilotta

La replica di Domenico Patassini

Gentile Direttrice,

la risposta di Innocente Nardi (Presidente del Consorzio Tutela del Vino Conegliano Valdobbiadene Prosecco) agli articoli di Maurizio Giufré e Francesco Bilotta (l’ExtraTerrestre 11/7/2019), oltre ai due commenti in calce di questi ultimi (il manifesto 27/7/2019) credo meritino alcune sintetiche considerazioni.

Il riconoscimento come Patrimonio dell’Umanità delle colline del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene è avvenuto escludendo la pianura dalla core zone, area centrale del sito connotata dal paesaggio dei ‘ciglioni’ e della cosiddetta ‘viticultura eroica’.

La core zone ospita i più preziosi valori paesaggistici, storico-culturali e, in certi casi, etno-antropologici, nonostante l’accecante presenza di cisterne a cielo aperto (ritenute da certuni parte integrante del paesaggio).

Questa zona non è stata (e non è tuttora) esente da stress dovuti a diffusi fenomeni erosivi (come evidenziano studi dell’Università di Padova), all’utilizzo massiccio di agro-farmaci e di prodotti fitosanitari.

Se il glifosato è stato bandito da 15 Comuni dell’area Docg non lo sono ancora il Curame, il Karathane Star, il Sivanto, il Dimetomorf, il Ridomil Gold, il Quantum L, per citarne soltanto alcuni, il cui uso è intensivo e ripetuto.

Alcuni rischi sanitari e ambientali connessi sono noti e indicati dalle stesse case fornitrici, ma altri lo sono di meno per carente classificazione chimico-fisica delle sostanze e per assenza di test orientati.

Sono trascurati (perché di difficile stima e non perché assenti) i rischi dovuti ad effetti cumulativi su lavoratori, residenti e consumatori, sulla qualità dei suoli e delle acque, oltre che sulla biodiversità in generale.

Mi sembra che il riconoscimento della core zone sia una sostanziale bocciatura della poderosa strategia di colonizzazione di crescenti superfici a prosecco (vedi studi Iuav Università di Venezia).

Questa strategia è stata favorita da note lobby private e tollerata da istituzioni pubbliche senza alcuna valutazione degli effetti duraturi sulle forme di conduzione (i contratti d’affitto meriterebbero attenzione specifica), sulle caratteristiche intrinseche dei suoli, ma anche sulla continuità eco-sistemica e sulla bionomia del paesaggio agrario. L’utilizzo massiccio di strutture metalliche, la gestione idraulica forzata e i rischi di desertificazione dovuti al compattamento dei suoli iniziano a produrre effetti anche sulle variazioni di temperatura, interessando, fra l’altro, l’area buffer e l’area commitment del nuovo sito Unesco.

Il referente giuridico dell’operazione, già impegnato nel depotenziamento delle leggi di governo del territorio e nella deregulation urbanistica della Regione Veneto, ritiene più che sufficiente promulgare ‘linee di indirizzo’ senza alcun riferimento a strumenti operativi che le straordinarie ’figure di paesaggio’ del luogo potrebbero suggerire, come indicato dai criteri culturali e naturali dell’Unesco.

Domenico Patassini, Iuav Università di Venezia