È tornata Angelica tra noi (all’Arena del sole) e ritrovare la signora Liddell è un’esperienza sempre sorprendente e stimolante. Padrona della scena e con una capacità davvero inusuale di polarizzare l’attenzione del pubblico a districarsi nel suo delirio di parole e di immagini, che sempre e comunque coinvolgono (e a tratti sconvolgono), anche se non si ha mai la certezza di penetrare totalmente il loro senso e il suo pensiero. Uno strumento decifratorio può essere un libro appena pubblicato da Sossella editore, con il testo delo spettacolo e altri due suoi saggi, titolo Non devi far altro che morire nell’arena.
Donna di contraddizioni Angelica Liddell, e «di dolori» che finiscono per sovrastare i piaceri, mettendo lei in gioco ad ogni passo del racconto la propria vita privata e i propri deliri, il fascino delle sue mitologie (stavolta il santino nazionale spagnolo, il torero nell’arena) e l’orrore misto a piacere di certe violenze, tra quarti di bue incombenti e un toro nerissimo, a grandezza naturale e in pose diverse, che per altro costituisce un filo, per quanto animale e «di pezza», con l’altro birbante eccelso della scena odierna internazionale, Dimitris Papaioannou.

Padrona della scena e con una capacità davvero inusuale di polarizzare l’attenzione del pubblico a districarsi nel suo delirio di parole e di immagini, che sempre e comunque coinvolgono

MA LE SOMIGLIANZE si fermano alla sagoma taurina, perché con lei è la parola, spinta impudicamente fino allo sproloquio, a tratti blasfema per la contiguità col linguaggio devozionale, a dominare e condurre attraverso le immagini, le citazioni e gli sgambetti. Dunque è una cultura dominante (continuamente smascherata nei suoi pasticci, nei suoi equivoci e nelle sue falsità) a farsi oggetto di scherno e di schermo, rutilante nelle sue invocazioni e affilata nello smentirle.

ANGELICA non si risparmia nel suo spettacolo, Liebestod – El olor a sangre no se me quita de los ojos – Juan Belmonte , in un violento decalage rispetto alle mitologie di Garcia Lorca ed Hemingway con le loro poetiche declinazioni di amore per la Spagna e le corride. In questa sorta di rito «perverso», Angelica vibra e trema, infierisce e si accalora, in un percorso verbale sempre più torrido e veemente, il cui tono si fa elegiaco quando ci racconta di Juan Belmonte, uno degli artefici della popolarità della tauromachia all’inizio del ventesimo secolo, elegante e distinto secondo le cronache, caliente come il fuego quando viene evocato nello spettacolo. E per restare negli «amori maledetti», ci sono pure Tristano e Isotta, e i poveri animali martoriati dall’uomo. Per questo percorso, Liddell si inerpica tra misteri coscienziali ed evocazioni misteriose (troppo facile ridurle a «fantasie erotiche»), cambia personalità come d’abito, anche se la sua voce inconfondibile ha un pathos di sicura tenitura. Ci mostra i suoi boys con sfrontatezza usandoli come «manichini» viventi da abbigliare con le sue parole di fuoco: uno di loro ha subito l’amputazione di un braccio e di una gamba, ma senza pietismo e senza esibire rivendicazioni, lei ce ne impone la fiera consapevolezza.
Insomma è una vera esperienza (certo meno «sconvolgente» delle sue prime apparizioni che risultavano blasfeme alle pie orecchie vescovili e di piazza). Oggi le sue «provocazioni» possono evocare al più le private esperienze di ciascuno, ma restano comunque scoppiettanti in una scena internazionale sempre più spesso intorpidita sulla via di una troppo facile «leggerezza».