Tra il 1992 e il 2008 sono apparsi in Italia ben quattordici titoli di Antonio Muñoz Molina, narratore e saggista andaluso celebre e prolifico (sedici romanzi, due libri di racconti, due di cronicas, sei saggi sulla letteratura e l’arte, sette raccolte di articoli) che sin dal debutto, avvenuto nel 1986, occupa una posizione di rilievo nella letteratura di lingua spagnola. Mondadori, Feltrinelli, Einaudi o Passigli lo hanno incluso in passato nei loro cataloghi, dove oggi, però, resta scarsa traccia della sua presenza, e negli ultimi dieci anni nessuno dei suoi libri è stato tradotto in italiano: una rimozione della quale non è semplice individuare i motivi, anche in un panorama editoriale come il nostro, confuso e privo di progettualità, nonché fin troppo sensibile alle mode correnti.

CHI CONOSCE l’opera recente dell’autore, tuttavia, non può che sottolinearne la qualità, accentuata dall’evolversi di una scrittura solida ed elegante verso un’asciuttezza nuova e un’interessante inclinazione alla diaristica. Oggi, grazie a un piccolo editore come 66thand2nd, capace di costruire in pochi anni un catalogo vivo e originale, i lettori italiani possono di nuovo avvicinarsi a un autore che, dopo aver magistralmente narrato il passaggio dal franchismo alla democrazia, ha saputo leggere il mondo contemporaneo con rara attenzione, seguendo due fili distinti: quello della narrativa di pura finzione – dispiegata in romanzi come Inverno a Lisbona, Plenilunio (un noir splendido quanto introvabile), Beltenebros, Il custode del segreto e Tus pasos en la escalera, appena uscito in Spagna – e quello basato su memorie personali e vicende ambientate nella cittadina dov’è nato, Ubeda, che in Beatus Ille, El jinete polaco o I misteri di Madrid si trasforma in Mágina, luogo reale e immaginario allo stesso tempo, secondo la lezione di Onetti, che su Muñoz Molina ha esercitato una profonda influenza.

DOPO Come ombra che declina, un sapiente intreccio tra autofiction ed eventi storici (l’assassinio di Martin Luther King, visto con gli occhi del suo killer), tradotto l’anno scorso con precisione e sensibilità da Carlo Alberto Montalto, l’editore ripropone infatti Il vento della luna (pp. 292, euro 18; l’ottima traduzione di Maria Nicola è la stessa dell’edizione mondadoriana del 2008), quasi un memoir in cui una Spagna rurale e arcaica fa da contrappunto allo sbarco dell’uomo sulla luna nel luglio di cinquant’anni fa, vissuto con passione da un innominato protagonista adolescente, nel quale non è difficile riconoscere l’autore.
Il tutto, come sempre, sullo sfondo di Mágina e delle sue campagne, dove il ricordo della guerra civile, il peso della censura, il ferreo controllo del regime e della Chiesa continuano a erigere barriere tra vincitori e vinti. Un ambiente claustrofobico che fa apparire impossibile ogni cambiamento, e che tuttavia è attraversato da fremiti di modernità: i primi televisori, la bella zia Lola con i suoi tacchi, il suo rossetto e i comfort di un appartamento borghese, le vacanze playa y sol promosse dal franchismo… A tratti, si sente perfino aleggiare un vago presentimento di fine regime, mentre le terribili agonie di due vecchi e feroci franchisti (già comparsi, come altri personaggi, nei precedenti romanzi dell’autore) sembrano preannunciare, proprio nei giorni dello sbarco sulla luna, quella lentissima del Caudillo.

MUÑOZ MOLINA, che alterna la prima persona (riservata ai ricordi personali) alla seconda (usata per rivolgersi a remotissimi interlocutori, gli astronauti che la sua immaginazione accompagna in ogni istante della loro avventura), riesce a creare un collegamento tra materiali assai differenti e a renderli complementari, a integrarli armoniosamente accostando passato e futuro, assenza di gravità e «peso» del lavoro terreno, tecnologia e arretratezza. Ogni gesto, pensiero e sensazione di coloro che calpestano per la prima volta la superficie della luna, sembra trovare eco e corrispondenza nelle giornate del ragazzo di Mágina e negli spazi in cui si muove (la sua soffitta all’ultimo piano, isolata e quasi inaccessibile, non è forse simile a una capsula spaziale?), finché il viaggio degli astronauti si rivela metafora di quello che il protagonista, non più bambino e non ancora adulto, turbato dai mutamenti del corpo e da una crescente insofferenza verso scuola e famiglia, compie attraverso il territorio incerto e disagevole dell’adolescenza, con il solo conforto della lettura (strumento di fuga, fonte di risposte, isola deserta che offre salvezza al naufrago) e del sognato allunaggio.

Proiettato verso un cambiamento che lo sbarco sulla luna sembra estendere al mondo intero, nell’arco dei pochi giorni tra la partenza e l’arrivo della capsula il giovane narratore scoprirà definitivamente di essere diverso dai suoi, che obbediscono a tradizioni immutabili e sono chiusi nel silenzio rassegnato di chi ha pagato un prezzo altissimo per aver combattuto dalla parte «sbagliata». A loro, come a quasi tutti in paese, poco importa che l’uomo metta piede sulla luna, mentre i giornali commentano il viaggio con incongrui richiami a lontane glorie spagnole (Colombo alla scoperta delle Americhe!) e la Chiesa allude a possibili eresie. Per lui, invece, l’immagine del futuro coincide con l’accelerazione prodigiosa dell’Apollo, con le impronte stampate nella polvere lunare, col silenzio assoluto che circonda il satellite, con i segreti della sua faccia nascosta.

E MENTRE la luce grigia del video (perfino in una casa come la sua, priva del bagno e di acqua corrente, è arrivata la televisione) illumina la stanza dove assiste allo sbarco, in solitudine e nel cuore della notte, il ragazzo abbandona finalmente la seconda persona con cui finora si è rivolto agli uomini in tuta spaziale, parla con la loro voce, diventa uno di loro, si congeda dalla vita che avrebbe dovuto vivere e ne sceglie inconsapevolmente un’altra.
Lento, minuzioso, attento a restituire suoni, odori, colori, dettagli quasi pittorici, Il vento della luna è molte cose insieme: un romanzo di formazione composto con la lucidità dell’adulto che si guarda indietro, ma anche il ritratto di una Spagna pietrificata dalle conseguenze della guerra civile e di un’interminabile posguerra, e infine la rievocazione straordinariamente suggestiva della vita contadina, legata a una fatica senza rimedio e alla ripetizione di gesti antichi: un mondo durissimo e chiuso da un orizzonte troppo breve, ma ricco di sapienza ancestrale.

IL RAPPORTO tra uomo e natura ha, nel romanzo, la stessa importanza della nave spaziale lanciata verso il cielo, ed esprime il contrasto tra un padre silenzioso, fiero delle sue abilità di orticultore, e un figlio perso nella visione di un futuro diverso, separati all’improvviso da un’estraneità così dolorosa e di rimpianto che, confessa l’autore nelle pagine finali, il romanzo nasce anche come dichiarazione d’amore per il genitore perduto. E, si potrebbe aggiungere, come un addio alle gloriose illusioni dell’adolescente di un tempo, cui il viaggio dell’Apollo aveva annunciato l’avvento di una nuova era: una speranza rapidamente trasformata in un luccicante brandello di immaginario, pronto ad aggiungersi ai miti, alle storie, alle immagini, alle fantasie che da secoli si addensano intorno al volto mutevole della luna.