Andava a Rogoredo, cantava Jannacci. A Milano, per andare a Rogoredo, si prende corso Lodi, il lungo viale che da porta Romana arriva sino in piazzale Corvetto per poi diventare via Emilia e arrivare sino a Roma. Poco prima, sulla destra, c’è viale Brenta, che poi cambia nome e diventa viale Ortles. Lì, da tempo, al numero 69, c’è un dormitorio pubblico, anzi ora si chiama casa dell’accoglienza. Un luogo dove offrire un minimo di aiuto a chi ne ha bisogno. Ora quel luogo è stato dedicato a Enzo Jannacci, lo stesso uomo che aveva saputo cantare gli ultimi e dopo averli cantati in tanti brani indimenticabili aveva permesso che Scarp de’ tenis diventasse il nome di una rivista della Caritas per i senzatetto.

Per Enzo sono sempre stati più importanti i problemi degli ultimi che quelli «di unto, però del signore» . E la riprova viene da L’artista, il disco postumo, curato dal figlio Paolo. In questi casi, molto spesso, si prendono i grandi successi e li si riciccia. Lui no, lui, e Paolo,sono andati a ripescare una decina di vecchi brani, questo sì, in genere però considerati «minori» o addirittura di altri autori, li hanno messi insieme, hanno aggiunto un’inedita collaborazione, Desolato con il rapper J-Ax, e hanno creato un nuovo disco di Enzo.

Un lavoro difficile, perché Jannacci era già malato. Un lavoro delicato perché pervaso di affetto e sentimenti e legato al fatto che bisognava fare i conti con un funerale celebrato qualche mese fa. E l’orecchio più affezionato alla voce picassiana di Enzo non può non notare come ci sia una nota di ulteriore drammaticità che offre un pathos ancora più intenso e struggente.

È lo stesso Paolo che risponde su come abbiano realizzato quest’opera «è stato un disco fatto insieme, un pensare di fare perché ci piaceva così e per non soccombere a una forma mentale della malattia. Quando stai male rischi di essere schiavo di una forma mentis, noi abbiamo voluto sfilarci da questa condizione. Per fare un lavoro di questo genere devi essere in forma e anche così fai fatica, per questo ci abbiamo messo molto tempo a chiudere gli undici brani. Lavorando le giornate giuste e le giornate buone. È vero, in certi brani la voce di papà è più velata ma è ugualmente perfetto, c’è emozione, c’è magia».

In effetti quando parte Maria me porten via Enzo lascia quel nome sospeso prima di proseguire e la commozione arriva dritta al cuore: «Maria, me porten via, ma ti dill minga ai fioeu/che il suo papà l’han cattaa su ‘me un lader» (Maria, mi portano via, ma tu non dirlo ai figli, che il loro papà è stato preso come un ladro). Peccato che in rete tutto venga equivocato con un testo copia-incolla moltiplicato all’infinito per cui il babbo, anziché prelevato in un bar per una questione da poco, risulta essere stato catturato in un fantomatico lager.

C’è poi anche Sergio Endrigo con Io che amo solo te versione Enzo, e altri vecchi brani come La sera che partì mio padre che acquista così ulteriore senso in un disco realizzato da Enzo e Paolo. Poi c’è un duetto in apparenza stravagante tra un signore attempato come il dottor Jannacci e il più ruspante Alessandro Aleotti in arte J-Ax con quel Desolato (ma più incazzato) in cui si passano il testimone. J-Ax omaggia e cita in continuazione la discografia jannacciana, Enzo risponde felice armato di grande curiosità. «Anche questo brano è nato insieme – racconta Paolo –papà sentiva molte cose, poi ogni tanto mi diceva ‘ecco, la voglio come qua’. Lui non aveva pregiudizi, quando gli ho detto che saremmo andati da J-Ax per sentire il testo che aveva scritto apposta per noi lui non ha fatto una piega. Quando è arrivato ha visto i tatuaggi, i graffiti, i teschi ma soprattutto guardava gli occhi della persona che aveva di fronte, perché così si capisce se un rapporto può andare avanti. J-Ax è intelligente, sveglio, colto poi utilizza la parola in un certo modo, con un linguaggio particolarmente diretto che è la sua peculiarità». Così Enzo è entrato anche nell’hip hop.

Altri momenti sono già in cantiere per celebrare Jannacci, ma l’invito è quello di ascoltare L’artista in questo ultimo commovente sforzo, dove appare anche fotografato da Fabio Treves e disegnato da Tullio Pericoli con una di quelle magliette a righe che ricordano momenti belli degli anni ’60.