«Siamo una squadra plurale e unita, costruiremo proposte unitarie», promette il reggente Maurizio Martina a proposito dell’elezione dei capigruppo del Pd alla camera e al senato, in programma oggi pomeriggio. Soprattutto sono ormai due squadre non tanto grandi, anche perché un po’ di eletti sotto il cappello dei democratici si sono iscritti ad altri gruppi. Gli eletti della lista +Europa, tre alla camera e una al senato (Bonino) andranno al gruppo misto. Così come il senatore socialista Nencini e il deputato prodiano, unico della lista Insieme, Serse Soverini. Alla camera va nel misto la ministra Lorenzin, mentre il senatore della sua lista (Civici e popolari) eletto dal Pd a Bologna, Pierferdinando Casini, sceglie il gruppo delle autonomie. E lì trova gli eletti (con i voti del Pd) della Svp e due senatori a vita (Napolitano e Cattaneo). Altri due senatori a vita (Monti e Segre) andranno invece nel gruppo misto, anche se da quest’anno per loro non è obbligatorio aderire a un gruppo (dovrebbero approfittare della novità Rubbia e Piano).

Per riuscire a restare uniti, i 112 deputati e i 53 senatori del Pd sono ormai orientati ad accogliere la richiesta di Renzi, eleggendo di conseguenza Lorenzo Guerini e Andrea Marcucci capigruppo, rispettivamente alla camera e al senato. Sono indiscutibilmente due renziani, il primo pecca un po’ di limitata esperienza parlamentare – è appena alla seconda legislatura – ma ha riconosciute doti di mediazione, mentre il secondo ha più esperienza – quattro legislature, ma la prima, alla camera, con il partito liberale di Renato Altissimo – ed è stato invece un renziano da battaglia – soprattutto nella trincea dei social. Contro la sua elezione a capogruppo si è espresso il capogruppo uscente Zanda (area Franceschini) il che avrebbe un tempo chiuso il discorso. Ma Renzi ha fatto sapere che non avrà scrupoli se si tratterà di spaccare i gruppi nel voto segreto, ed è diffuso il timore che la sua metà (una trentina di senatori e una settantina di deputati) possa risultare ancora quelle più grande. Eppure che nella conta l’ex segretario stia perdendo terreno lo conferma l’eroismo esibito del senatore calabrese Magorno: «Sono orgogliosamente renziano, non scappo, non abbandono la nave quando affonda: lo lascio fare ai topi». E allora non si può escludere che al senato Renzi debba alla fine arrendersi: Pinotti, Pittella o Mirabelli le possibili alternative a Marcucci.

Sono nomine importanti anche perché i due capigruppo accompagneranno Martina al Quirinale quando, dopo pasqua, Mattarella aprirà le consultazioni per dare l’incarico di governo. Renzi è preoccupato che possa aprirsi uno spiraglio nella linea aventiniana che ha imposto al Pd nella partita delle presidenze di camera e senato. Diverso il discorso per le vice presidenze d’aula e il resto degli uffici di presidenza, in questo caso il Pd si sta muovendo da tempo per conquistare il massimo spazio. Anche perché gli incarichi istituzionali possono servire per bilanciare quelli del gruppo. La vice presidenza di palazzo Madama andrebbe quindi a una senatrice dell’area Orlando, Anna Rossomando, (e le altre al leghista Calderoli, alla 5 Stelle Taverna e a Fratelli d’Italia). Anche alla camera il Pd punta ad avere una vicepresidenza, che andrebbe al capogruppo uscente Rosato – che ha firmato la legge elettorale – o al vicepresidente uscente Giachetti, ma solo nel caso in cui i capigruppo non fossero entrambi renziani. Tra la camera e il senato il Pd dovrebbe avere anche un questore. Mentre per i posti da segretari d’aula è più semplice: ce ne sono per tutti i gruppi.