L’archeologia è una disciplina democratica. Ma, se gli scavi restituiscono tutto ciò che la terra ha preservato nei secoli senza gerarchie fra classi di reperti, sono gli stessi specialisti a effettuare delle scelte e a decidere cosa valga la pena (o convenga) studiare, valorizzare e soprattutto mediatizzare. Così – malgrado la ricerca archeologica non sia più ufficialmente una caccia al tesoro almeno dalla seconda metà del XX secolo – sono quasi sempre i contesti più ricchi e appariscenti a fare notizia. Un’abitudine al sensazionalismo che costringe dunque a definire rara, insolita e persino inaspettata la scoperta di un contesto «povero».
È ciò che è accaduto ieri nel suburbio di Pompei, dove gli scavi della villa situata in località Civita Giuliana – monumento balzato più volte agli onori della cronaca negli ultimi anni per il ritrovamento di una stalla con i resti di tre equini, di cui uno sfarzosamente bardato, degli scheletri di due fuggiaschi e di un carro da parata quasi integro – hanno messo in luce una modesta stanza con tre letti disposti a ferro di cavallo.

GRAZIE ALLE CONDIZIONI di conservazione dell’ambiente, sigillato in seguito all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. ma danneggiato in tempi recenti dall’azione dei tombaroli, è stato possibile anche in questa occasione realizzare i calchi in gesso dei letti e degli altri oggetti in materiali deperibili che hanno lasciato l’impronta nello strato di cinerite. I letti sono composti da assi lignee lavorate in maniera grossolana, che potevano essere modulate a seconda dell’altezza di chi ne usufruiva: due sono lunghi circa 1,70 mt mentre il terzo misura 1,40 mt, dettaglio che ha fatto supporre all’équipe del Parco Archeologico di Pompei diretta da Gabriel Zuchtriegel che possa trattarsi del giaciglio di un bambino.
La rete delle brande è costituita da corde, le cui tracce sono parzialmente leggibili nel deposito di ceneri vulcaniche, e al di sopra delle quali furono adagiate delle coperte, anch’esse restituite attraverso il metodo dei calchi. Al di sotto dei letti si trovavano alcune anfore utilizzate per conservare effetti personali, brocche in ceramica e un «vaso da notte».
La stanza era illuminata da una piccola finestra posizionata in alto e le pareti non presentavano decorazioni. Secondo gli studiosi, oltre a fungere da dormitorio per un gruppo di schiavi – forse una famiglia – l’ambiente serviva anche da ripostiglio, come testimonierebbero otto anfore stipate negli angoli.

L’ALLOGGIO DI 16 MQ appena riportato alla luce è ubicato nel settore dove lo scorso gennaio vennero scoperti anche il carro cerimoniale (attualmente in corso di restauro) e nel 2018 la stalla con i resti di tre cavalli. Ciò, assieme al rinvenimento di una cassa lignea contenente elementi in metallo e in tessuto riferibili ai finimenti dei cavalli e del timone di un carro, induce a supporre che nell’angusto spazio vivessero uomini addetti alla manutenzione e alla preparazione del veicolo.
Uno spaccato della vita quotidiana della villa – una delle tante del territorio pompeiano rispondenti a esigenze di carattere produttivo o residenziale – che rivela gli aspetti più umili della società romana, aspetti non taciuti – al contrario di quanto affermato da Zuchtriegel – dalle fonti antiche. D’altra parte, su questo tema, sono stati scritti corposi saggi, di cui si ricorderà qui solo quello di Moses I. Finley sull’economia degli antichi e dei moderni.

L’ESIGENZA DI SOTTOLINEARE l’unicità dei rinvenimenti, nel caso di Pompei quasi pleonastica, caratterizza la strategia comunicativa del Parco fin dalla direzione di Massimo Osanna (ora direttore generale dei musei presso il Ministero della cultura ma sempre presente sul «set» delle scoperte). Immancabili le dichiarazioni del ministro Franceschini, che sul «modello Pompei» ha costruito la propaganda dell’eccellenza italiana nella ricerca archeologica, nascondendo sotto il tappeto la mancanza cronica di finanziamenti del comparto culturale e i conseguenti disastri nella tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio del resto del paese (Colosseo escluso).

MA SE NON SI PUÒ che accogliere con entusiasmo e interesse scientifico ogni nuova acquisizione dal passato di uno dei siti più celebri al mondo (da segnalare anche che le indagini a Civita Giuliana sono condotte in collaborazione con la Procura della Repubblica di Torre Annunziata per contrastare gli scavi clandestini), spiace constatare come si continui a veicolare un’immagine mistificata dell’archeologia e come si glissi sul progresso delle conoscenze concernenti i siti vesuviani, derivate non solo dall’attività degli attuali funzionari del Parco ma anche dall’impegno e dagli studi delle numerosissime équipe ministeriali e universitarie (quest’ultime provenienti da atenei italiani ed esteri) che hanno operato o tuttora operano a Pompei.