Una casa in fiamme, edito da Guanda, è il nuovo romanzo di Laura Forti che nel 2021 si è aggiudicata il premio Mondello Giovani, il Super Mondello e il Premio Mondello Opera Italiana. Si tratta del racconto di un anno, dell’incedere delle stagioni e dei cambiamenti che il tempo impone e concede, a partire dalla diagnosi di cancro che Manuela, protagonista e voce narrante, riceve all’inizio della storia.

IL TESTO NON RACCONTA la tensione della battaglia con la malattia, l’alternanza della speranza e della disperazione che un tumore può innescare: chi legge sa fin dall’inizio che quello di Manuela non è un male che la stroncherà. Sono le conseguenze di sapersi malata e che le persone intorno a lei la considerino tale a rivelarsi potenzialmente fatali. Il romanzo di Laura Forti racconta soprattutto la storia di una famiglia, quella di Manuela, di suo marito Sergio e dei figli Lea ed Elias. La fragilità, la sofferenza e la paura della morte che il tumore al seno di Manuela immettono fra le mura di casa alterano gli equilibri familiari e portano alla luce fragilità che nicchiano da anni. La relazione più complessa, ça va sans dire, è quella tra Manuela e la figlia Lea, che viene scoperta a odiare la madre, mentre ha un rapporto simbiotico con Sergio.

La ragazza viene allora affiancata da una psicoterapeuta e inizia un percorso che la condurrà a rivelare la fluidità di genere – pretenderà di essere chiamata Storm – e la sua relazione con la compagna di scuola Khalida, algerina, nata in Marocco. Khalida è musulmana e Lea la porta a casa per la prima volta alla celebrazione di Pesach, la Pasqua ebraica, a cui sono invitati anche i genitori di Sergio e il suo maestro, il rabbino Ottolenghi: il marito di Manuela è infatti un ebreo ortodosso, mentre lei viene definita con disprezzo da lui stesso «un’ebrea culturale».

La tradizione religiosa, la necessità di seguire delle regole, di onorare una storia nel romanzo sono associate all’idea stessa di famiglia e di coppia. Quando bisogna interrompere la routine, la coazione a ripetere rituali che ormai sono vuoti di senso e di fede? Quando è il momento di spezzare il patto del matrimonio, o quello con Dio e col popolo di Israele? La malattia di Manuela, privandola dell’autorevolezza del suo ruolo di madre e moglie, trasformandola nell’anello debole della catena, le mostra le storture della sua esistenza, soprattutto la quasi totale assenza di vita che connota il suo matrimonio.

La domanda che riecheggia in tutto il romanzo, senza mai essere pronunciata è: che cos’è veramente un cancro? Un aborto mai elaborato? Un tradimento mai superato? Le bugie di un uomo che si comporta da padre e uomo timorato di Dio e poi ha un profilo virtuale che spaccia droga e fa sesso spinto munito di un pene gigante? Oppure è la difficoltà ad amare un figlio e una figlia?

LAURA FORTI non dà nessuna risposta, nel romanzo è assente qualsiasi indicazione per la retta via. Emerge dalle pagine, però, che il tumore permette a Manuela di fermarsi a guardare, a soffrire, di essere sopraffatta dall’insensatezza della sua vita così apparentemente giusta. E infatti a fare da leit motiv nel testo è un interrogativo che sorge da uno sguardo disincantato, che cerca di sfatare ciò che in primo luogo diamo per scontato: il valore della vita. «La vita è preziosa?» si chiede insistentemente Manuela. Lei si dà una risposta da mamma. Per chi non ha procreato la domanda resta aperta.