Dietro al commissariamento del comune di Roma deciso dal governo il 27 agosto scorso, si sta giocando una partita fondamentale che investe il destino delle autonomie locali e della stessa democrazia. Il commissariamento è stato veicolato con grande maestria, come se si trattasse di un atto di normale amministrazione e in questo senso anche le dichiarazioni del prefetto Gabrielli, che continua a negare l’evidenza e affermare che il vero sindaco è Marino, non fanno che aumentare le preoccupazioni su quanto sta avvenendo.

Il consiglio dei ministri ha affidato il controllo degli atti di affidamento di appalti e di servizi pubblici di Roma all’Anac di Raffaele Cantone sotto il coordinamento del Prefetto. Prima di avere piena validità, gli atti comunali dovranno portare il visto di altre due autorità di governo: siamo dunque di fronte ad un provvedimento di natura diametralmente opposta alla cultura della «semplificazione» perseguita ininterrottamente da trent’anni e amplificata oltre misura dal governo Renzi: la retorica mercatista imperante ha come noto imposto la priorità assoluta delle esigenze di semplificazione perché l’economia «non poteva attendere».

Il risultato è che la capitale d’Italia è caduta in mano di una consorteria di politici corrotti che in contiguità con la malavita organizzata hanno deciso tutto ciò che hanno voluto non in spregio delle leggi ma nella loro piena applicazione. E’ con le procedure di urgenza previste a iosa nella legislazione liberista che si sono potuti affidare appalti ad imprese amiche o mafiose.

E’ in ossequio della legislazione vigente che uomini senza alcuna preparazione istituzionale e senza moralità sono stati posti a capo di municipalizzate e di istituzioni: ad esempio Riccardo Mancini e Alfredo Panzironi posti da Gianni Alemanno a capo dell’ente Eur e dell’Ama; Luca Odevaine e Maurizio Venafro, nominati il primo dall’allora sindaco Veltroni vice capo di gabinetto di Roma, il secondo da Nicola Zingaretti capo di gabinetto della Regione Lazio. Questi mostri istituzionali sono potuti avvenire grazie alla cancellazione di ogni controllo di legittimità e di merito aboliti nel ’93 sull’onda di una malintesa cultura della semplificazione.

Matteo Renzi e i suoi consiglieri hanno così deciso di non affrontare l’uscita dalla spirale provocata dalla loro stessa cultura.

In primo luogo si continua a derubricare lo scandalo «Mafia capitale» a banali problemi di corruttela quando è evidente che siamo di fronte a un sistema di collusione tra politica e affarismo.

Ancora più grave il merito del provvedimento. Pur dovendo prendere atto della necessità di istituire efficaci forme di controllo, Renzi ha deciso di affidare il coordinamento delle operazioni di appalto al Prefetto. Dal punto di vista generale è un evidente ritorno indietro verso figure istituzionali centralistiche e monocratiche che avevano gradualmente lasciato il posto al decentramento e al controllo democratico. Nel merito, poi, è proprio l’inchiesta «Mafia capitale» che avrebbe dovuto sconsigliare ogni coinvolgimento della figura prefettizia.

E’ noto infatti che Giuseppe Pecoraro ha tempestivamente ricevuto Salvatore Buzzi dopo l’interessamento di Gianni Letta.

Anche se Gabrielli è di un’altra pasta, resta il nodo che ogni figura monocratica rischia di sconfinare dal proprio ruolo proprio perché priva di contrappesi di controllo. Ciò di cui c’è urgente bisogno è proprio quello di inaugurare una stagione in cui ogni istituzione sia soggetta a controlli severi e indipendenti dalla politica. E’ un problema di democrazia che non può essere rinviato per la corruzione dilagante e la crisi di credibilità del mondo politico.

Il consiglio comunale di Roma non conta più nulla e invece di restituirgli dignità indicendo nuove elezioni democratiche si è messa la sordina e perpetuata sine die la desolante parentesi di Marino. Segno evidente che il Pd ha ormai abdicato all’obiettivo di far evolvere le istituzioni verso le più ampie forme di partecipazione e controllo popolare.

Di fronte all’emergere del fallimento del modello di centralizzazione delle decisioni senza controlli si ricorre ai Prefetti. Renzi cambia verso, tornando all’Ottocento.