Nella crisi attuale si delineano già vincitori e vinti. Tra i primi, oltre ai colossi della vendita online, troviamo anche le principali corporation del trasporto navale. Un recente documento dell’International Transport Forum, che riunisce i ministri dei Trasporti di 62 paesi, prende posizione contro le 10 maggiori imprese del settore dello shipping. Secondo l’organismo che fa parte dell’Ocse, le compagnie avrebbero ridotto drasticamente i traffici a livello globale creando una bolla, che ha originato un innalzamento delle tariffe, permettendo loro di mantenere margini di profitto dell’8,5% nel travagliato secondo trimestre 2020.
Pochi mesi fa, lo stesso Forum aveva concluso negativamente una lunga battaglia per applicare sui trasporti merci globali le normative Antitrust europee. A marzo 2020, la Commissione europea aveva deciso di prorogare per altri 4 anni il regime speciale che rende inapplicabili le leggi sulle concentrazioni.
Le dieci compagnie di trasporto sotto la lente d’ingrandimento sono raggruppate a loro volta in tre grandi alleanze fra armatori (2M, Ocean e The Alliance) e rappresentano circa l’80% del traffico container a livello globale. Una concentrazione avvenuta nell’ultimo trentennio, ma che genera una situazione di quasi-cartello in un settore sempre più centrale. Per rendere l’idea, circa il 90% del traffico mondiale di merci si sposta via nave e rappresenta il 12% del pil del pianeta. In questo quadro ufficialmente non ci sarebbero armatori italiani. In realtà, una holding svizzera ma dal cuore campano rappresenta in questo momento, in alleanza con la danese Maersk, il primo player al mondo nel trasporto merci via mare. Stiamo parlando di Mediterranean Shipping Company Holding (Msc), un marchio famoso per le navi da crociera che fa molto altro. La Msc globale affonda le sue radici a Sant’Agnello, in provincia di Napoli, da dove partì il fondatore Gianluigi Aponte dopo avere conosciuto la moglie Rafaela Denat. I due in 50 anni sono riusciti a costruire un impero, tanto da essere, secondo Forbes, 230esimi tra i più ricche al mondo, con un patrimonio di 8,7 miliardi di dollari. La particolarità di questo protagonista globale è che la holding è gestita da un management «a conduzione familiare» e per questo risulta complicato accedere alle informazioni, in particolare sulla società capofila. È chiaro però che ci troviamo davanti a un colosso che gestisce, attraverso la controllata Terminal Investments Limited (Til), 37 terminal negli snodi più importanti e due in via di inaugurazione, distribuiti in 26 paesi. Nel comparto terminalistico italiano Msc controlla, attraverso Til, il porto italiano con maggiori prospettive, Gioia Tauro, e attraverso Marinvest, società originariamente del cugino di Aponte, Franco Ronzi, diversi terminal nei porti, tra i quali Napoli, Spezia, Civitavecchia, Genoa, Catania, Venezia e Brindisi.
L’alleanza con Global Infrastructure Partners (Gip) genera un blocco di aziende leader a livello globale. Inoltre con la controllata MedLog, nata nel 2018, il gruppo Msc è entrato anche nel settore della logistica su ruota e degli hub logistici. Nel campo ha già una posizione dominante in settanta paesi, grazie alla filiera della holding. Infine, il comparto crocieristico, la famosa Msc Crociere: la holding italo-svizzera è stata protagonista di un risiko di acquisizioni che l’ha portata a essere un leader mondiale del settore crocieristico, capofila italiana del trasporto passeggeri con l’annessione di Snav, Gnv e la Ignazio Messina. In questo momento storico molto delicato, l’unica strategia è il rilancio del commercio globale, seppure mai come oggi tutto ciò sembri in antitesi con la pandemia. L’accelerazione del processo di globalizzazione verso un just-in-time planetario non sembra essere messa in discussione, mantenendo vivi i progetti di espansione di porti e mega infrastrutture per il trasporto e la logistica per garantire collegamenti più rapidi per merci e per persone e una sempre maggiore estrazione di profitto a vantaggio di pochi giganti. Un modello insostenibile e energivoro, legato al consumo dei combustibili fossili, oltre che profondamente ingiusto in termini di distribuzione della ricchezza.
* Re:Common