Il gelido vento che spira dall’Umbria ha raffreddato gli spiriti bollenti nella maggioranza. Le minacce di un esasperato Nicola Zingaretti, che per tutto il giorno, lunedì, aveva fatto risuonare la parola più temuta, «elezioni», hanno completato l’opera di sedazione. Il vertice di maggioranza sulla manovra, presieduto ieri pomeriggio dallo stesso premier Giuseppe Conte con presenti il ministro dell’Economia Gualtieri e, tra gli altri, i capidelegazione del Pd e dell’M5S, Dario Franceschini e Luigi Di Maio, è filato liscio come l’olio.

«Clima buono di piena sintonia, annuncia al termine del vertice la capogruppo di LeU al Senato Loredana De Petris, e in questo caso non è fumo negli occhi. Qualcosa da definire ancora c’è, se ne occuperà un nuovo vertice oggi pomeriggio. Poi la manovra sarà inviata alla ragioneria dello Stato e tra il 5 e il 7 novembre dovrebbe approdare a palazzo Madama.

Un solo cambiamento rilevante: la cedolare secca sugli affitti a canone concordato resterà al 10% in modo permanente. Nella prima versione della manovra doveva salire al 15%, tetto abbassato poi sino al 12,5% e oggi spianato. «La questione sociale è al centro del nostro interesse» twitta soddisfatto il ministro della Sanità Roberto Speranza e Zingaretti duetta: «Notizie positive. Solo così l’Italia cresce». Dopo la mazzata umbra il governo si è reso conto di non poter sfoderare come biglietto da visita una manovra che non è mai stata lacrime e sangue ma che appariva ugualmente connotata da una miriade di tasse e microtasse.

Quella sulla plastica e la Sugar Tax sono rimaste, ma la meno giustificabile e probabilmente la più invisa, quella sulla cedolare secca, è sparita. L’introito potrebbe essere sostituito da una tassa progressiva sulle vincite derivate dai vari giochi d’azzardo.

LE MICROTASSE SARANNO probabilmente vagliate di nuovo oggi pomeriggio, nel vertice finale, ma soprattutto verrà detta l’ultima parola sugli «aggiustamenti» da apportare alla Flat Tax per le partite Iva sotto i 65mila euro. «Stiamo lavorando per confermare il regime agevolato eliminando tutti i vincoli», assicura la viceministra Laura Castelli. In realtà due dei tre vincoli proposti dalla sottosegretaria all’Economia Cecilia Guerra erano già stati accolti dai 5S.

Sul terzo la parola finale verrà detta oggi e anche su questo fronte peserà la necessità di strapparsi da dosso la veste scomodissima del governo delle tasse. E’ indicativo anche il fatto che la bellicosa ministra renziana Teresa Bellanova, solitamente un panzer, per l’occasione abbia evitato di tornare alla carica sia su quota 100 che sulla Sugar Tax. «Comunque abbiamo evitato la Salvini Tax», si felicita il leader di Italia Viva, decisamente più conciliante del solito. Poi però Matteo Renzi conferma di essere deciso a dare battaglia, in aula, proprio sulla tassa sui dolcetti oltre che su quota 100.

Qualche spina, non troppo acuminata, arriva da Bruxelles. La manovra non sarà bocciata, annuncia il vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis. «Se avessimo voluto chiedere una versione rivista del Dpf avremmo dovuto farlo tra oggi e domani», spiega. Però ci sono ancora «preoccupazioni», quelle sul bilancio indicate nella lettera al ministro Gualtieri la cui risposta dovrà essere valutata con gli Stati membri. Non è semaforo verde ma lo sarà presto.

QUANTO IL CLIMA armonioso di ieri sia destinato a durare e quanto sia invece solo una conseguenza passeggera dello shock umbro lo si vedrà solo in Parlamento, perché se le tensioni emergeranno di nuovo sarà in quella sede. A determinarle, eventualmente, non saranno i conti ma la politica. Ieri Di Maio ha confermato la scelta di abbandonare l’idea di una coalizione stabile con il Pd, ma abbassando sensibilmente i toni rispetto al giorno precedente. «Con Zingaretti si lavora meglio che con Salvini» assicura, poi apre una finestra per far rientrare le alleanze appena messe fuori dalla porta: «Saranno i territori a decidere». Anche Zingaretti rassicura: «Ogni picconata al Pd è un favore a Salvini. Non voglio la crisi ma la maggioranza deve cambiare passo».

DOPO LA BATOSTA, insomma, nelle file della maggioranza si fa strada una speranza: la stessa paura di Matteo Salvini che ha determinato la nascita del governo potrebbe imporre ora una coesione in sé inesistente.