Racconta Mario Cesarano – già direttore del Museo Campano provinciale di Capua – di aver chiesto una volta a una coppia di visitatori provenienti da Madrid come avessero appreso dell’esistenza del museo. I due giovani risposero che a spingerli fin lì era stato il desiderio di conoscere i luoghi che esaltarono le imprese di Spartaco. In realtà, avevano confuso Santa Maria Capua Vetere – l’antica Capua, dove si trovano i resti dell’anfiteatro in cui verosimilmente si esibì il celebre gladiatore e condottiero trace – con l’attuale città di Capua, sorta in età longobarda sull’insediamento romano di Casilinum.

QUESTO ANEDDOTO è contenuto nel volume Il museo vivente delle Madri (Rubbettino, pp. 246, euro 16), a cura di Pasquale Iorio, nel quale sono riuniti numerosi interventi volti – come spiega il sottotitolo – alla valorizzazione del «monumento più significativo della civiltà italica». Non inserito nei circuiti turistici che toccano i grandi attrattori del territorio di Caserta – l’Anfiteatro romano di Capua Vetere, la Reggia Vanvitelliana e il Real sito di Carditello –, anche prima dello scoppio della pandemia il Museo Campano ha visto diminuire gli accessi, fermandosi nel 2019 a novemila visitatori. Lo stato di abbandono in cui versa è da attribuirsi alla legge n. 56/2014, cosiddetta Delrio, che ha sottratto alle province le competenze in materia di cultura senza però individuare le amministrazioni preposte alla gestione finanziaria.
Subentrata come ente-guida, la Regione ha dal canto suo provveduto unicamente alle spese del personale, ormai ridotto a poche unità. In occasione del 150esimo anniversario dalla fondazione del museo (1870-2020), il libro curato da Iorio ha dunque l’obiettivo di sollecitare il Mibact e le istituzioni locali al rilancio di un polo culturale dalle indubbie potenzialità.

OSPITATO nel quattrocentesco palazzo Antignano, al quale – dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale – sono stati affiancati i locali dell’ex monastero della Concezione risalente al XVIII secolo, il Museo Campano occupa 5mila mq di esposizione e consta di 32 sale divise in due sezioni (archeologica e medievale). A queste si aggiungono una biblioteca con oltre 70mila testi – pergamene, manoscritti, carte geografiche e prime edizioni a stampa di notevole pregio – nonché un’emeroteca e un archivio storico-topografico.

LE SCULTURE SUPERSTITI dell’imponente Porta di Capua (o Porta delle due torri, realizzata per volere di Federico II di Svevia tra il 1234 e il 1239) e il Lapidario Mommsen, la più grande raccolta di iscrizioni antiche dell’Italia meridionale dopo quella del Museo archeologico nazionale di Napoli, sono tra i principali punti di interesse del museo. Ma il fiore all’occhiello è rappresentato dalla collezione delle Matres, centocinquanta statue di donne sedute in trono, le quali tengono fra le braccia neonati in fasce. Alcune arrivano a stringere dodici infanti mentre altre sono ritratte nel gesto di allattare. Le solenni e tenere figure femminili scolpite nel tufo provengono da uno scavo clandestino iniziato nel 1845 nei pressi della Porta dell’antica Capua e proseguito in maniera ufficiale tra il 1873 e il 1887. Le indagini archeologiche in quella che fu riconosciuta come un’area a valenza sacrale, provocarono inizialmente la dispersione dei reperti tra Amsterdam e Berlino, per poi portare all’integrazione delle singolari opere nel Museo Campano.
Datate all’incirca tra VI e II secolo a.C., le madri simboleggiano degli ex-voto, offerte propiziatorie e espressioni di ringraziamento rivolte a una dea che gli studiosi identificano quasi all’unanimità con la Mater Matuta, antica divinità italica dell’aurora e della nascita. Oltre a narrare la storia del museo e a descriverne le collezioni, il libro raccoglie le esperienze di valorizzazione condotte dal dipartimento di lettere e beni culturali (Dilbec) dell’università della Campania, dalle scuole e dal Touring Club Italiano (Tci).

NON MANCANO, infine, alcune proposte per il futuro. Se la necessità di creare una rete territoriale che favorisca l’inserimento del museo nel circuito dei grandi attrattori è condivisibile, l’impiego dei volontari del Tci per supplire alla mancanza di organico è una pratica fortemente avversata dalle sigle associative che rappresentano gli archeologi, in quanto lesiva della professionalità di quest’ultimi. Anche l’auspicato intervento dei privati che, secondo Iorio, favorirebbe lo sviluppo di una gestione efficiente e fruttuosa non sembra potersi configurare come una soluzione priva di insidie.
Le chiusure dei luoghi della cultura durante l’emergenza sanitaria hanno infatti rivelato i limiti delle concessioni ai privati, beneficiari quasi esclusivi dei proventi della bigliettazione, a detrimento della funzione pubblica del patrimonio. Riportare il «Museo delle Madri» nella sfera dei beni comuni dovrebbe essere l’unica strada, per quanto irta, da intraprendere. Intanto, qualche giorno fa è stato annunciato il nuovo Cda – tutto al femminile – del museo, che sarà presieduto da Rosalia Santoro.