Il «pensiero furiosamente variegato» di Guy Debord sembra inseparabile dalla sua persona, altrettanto molteplice, disseminata, estrema. Afshin Kaveh gli ha dedicato un libro dal titolo Le ceneri di Guy Debord (Catartica, pp. 164, euro 14) in cui compare in modo plurale.
«Il più grande avventuriero della nostra epoca», capace di crearsi avventure e non semplicemente viverle. Un «accanito e appassionato lettore» in grado di metabolizzare tutto ciò che leggeva in una costante pratica o di disprezzo o di détournement, di deviazione, trasformazione, inglobamento, metamorfosi dentro la propria scrittura ed esistenza. Uno stratega «della rivoluzione, della sovversione, in cui la definizione di strategia è il regno della sorpresa e dell’imprevisto». Un «dottore in niente», avverso all’accademia, all’università, a ogni istituzione culturale.
Un «burattinaio egocentrico», secondo l’accusa che gli rivolsero i situazionisti di Strasburgo quando furono espulsi dall’organizzazione, come accadde a numerosi altri che vennero cacciati prima dall’Internazionale Lettrista e poi da quella Situazionista, tanto che nel periodo dal 1957 al 1969 «fecero parte dell’Internazionale Situazionista 70 persone in tutto – le donne furono sette soltanto – di cui 45 furono escluse e 19 si dimisero».
Debord fu soprattutto un «teppista delle situazioni» che costruiva ambienti momentanei di vita dentro i quali avveniva la metamorfosi dell’esistenza individuale e collettiva, trasformata «in una qualità passionale superiore».

AMBIENTI E SITUAZIONI non escludenti nessuna circostanza, luogo, funzione, istituzione. Strutture dentro le quali il teppistaggio diventa per Debord un modo d’essere, divertirsi, immergersi nel nichilismo consapevole delle risse, dell’alcol, della violenza e nella lucidità strategica della loro trasformazione in azioni irrecuperabili da qualunque polizia, gerarchia, ideologia, dottrina, arte, rappresentazione.

Se quest’uomo/opera contribuì in modo determinante all’inizio e alla tensione del Maggio francese, si pronunciò assai presto contro la sostanza autoritaria e insieme imbelle del Movimento, contro il suo precoce diventare «moda». Legato soltanto alla radicalità del proprio sguardo/azione, Debord riconobbe «l’esaurimento irreversibile del proletariato, del classico movimento operaio o dei movimenti di liberazione terzomondisti» e il dominio dello spettacolare, prima nelle due forme dello Spettacolare diffuso (capitalista-occidentale) e concentrato (burocratico-sovietico), poi convergenti nello spettacolare integrato «ormai imbattibile e penetrato in ogni dove, in ogni spazio, in ogni angolo, dilatazione oggi sempre più manifesta soprattutto negli attuali rapporti sociali di consumo e produzione della realtà digitalizzata e virtuale».

È ANCHE A CAUSA dell’attuale dominio della sostanza spettacolare che Debord può apparire un visionario e «un insolitamente piacevole e armonioso disco rotto», risuonante la canzone di una rivoluzione necessaria e impossibile. Di se stesso Debord disse infatti: «Bisogna dunque ammettere che non c’erano né successo né fallimento per Guy Debord e per le sue imprese smisurate».
Questo avventuriero, lettore, stratega, egocentrico, teppista, è diventato a pochi anni dalla morte (1994) un classico. Sì proprio un autore ufficialmente definito dal governo francese tra i più grandi del suo tempo e il cui archivio personale venne acquistato dallo Stato nel 2010 per la cifra di 2,7 milioni di euro, versati alla vedova Alice Becker-Ho.
Una classicizzazione che sembra confermare il titolo-palindromo di uno dei suoi film: In girum imus nocte et consumimur igni, «‘Giriamo in tondo nella notte e veniamo consumati dal fuoco’. Che altro si potrebbe aggiungere?» si chiede Kaveh a chiusura del suo libro. Solo questo, forse: si tratta in ogni caso di un fuoco che dà luce.