Dopo una stagione di intensa crisi politica, le elezioni parlamentari di oggi in Armenia vedono alle urne 2,5 milioni di cittadini e potrebbero rappresentare un punto di svolta per il Paese caucasico. La data odierna è stata fissata in anticipo su quella programmata del 9 dicembre 2023, dopo le forti critiche e le conseguenti manifestazioni organizzate lo scorso anno dall’opposizione per protestare contro la leadership del primo ministro Nikol Pashinyan e la sua gestione dell’ultima escalation di guerra nel Nagorno-Karabakh – che dopo 44 giorni di conflitto a settembre si è conclusa con il ritorno all’Azerbaigian di una significativa porzione dei territori precedentemente in mano all’Artsakh. In questo scenario, a contendersi i 101 seggi del Parlamento di Erevan saranno quattro coalizioni e 21 partiti politici, con soglie di sbarramento pari rispettivamente al 7 e al 5%: tutto sotto il monitoraggio di osservatori anche internazionali, inclusa l’Osce e la Comunità degli Stati indipendenti, le cui missioni contano rispettivamente 250 e 70 persone.

L’INCERTEZZA dello scenario elettorale è rispecchiata anche dai sondaggi: pur rimanendo tra i favoriti, le rilevazioni condotte da Mgp-Gallup tra il 6 e il 10 giugno posizionano il Partito del contratto civile del premier al secondo posto con il 23,8 per cento dei consensi. Certo è che il sostegno dei confronti di Pashinyan è andato calando in favore dell’opposizione negli ultimi mesi, forte della “mala gestio” della crisi bellica di settembre. Anche in ragione di questo, in testa ai sondaggi si posiziona l’Alleanza Armenia guidata da Robert Kocharyan. Ex presidente e personaggio controverso, Kocharyan è stato al centro di un lungo contenzioso dal 2018, nel quadro della campagna antirepubblicana portata avanti da Pashinyan dopo essere diventato primo ministro. Entrato e uscito più volte di prigione – accusato di coinvolgimento nelle proteste che nel 2008 portarono al potere il suo successore Serzh Sargsyan, nelle quali morirono diverse persone – Kocharyan è stato assolto ad aprile registrando consensi crescenti.

NON SOLO: L’EX PRESIDENTE è anche vicino alla Russia (dal 2009 è nel consiglio di amministrazione di una grande società di investimento, Systema Pjsfc), a differenza di Pashinyan che ha spesso espresso posizioni vicine a paesi tradizionalmente opposti a Mosca, come la Francia e gli Stati Uniti – culminate con le accuse alla Russia di aver fornito sistemi missilistici Iskander difettosi che non avrebbero funzionato durante l’escalation di settembre. Mossa sulla cui efficacia si è dibattuto molto, essendo la Russia pressoché l’unico alleato dell’Armenia nella regione. In un contesto volatile in cui il voto potrebbe portare a nuove violenze di piazza, Pashinyan è rimasto comunque fiducioso, esortando i sostenitori ad assegnarli un «mandato d’acciaio» per schiacciare le critiche e affermando di aspettarsi il 60% dei consensi: una fiducia che deriva da recenti successi come la liberazione di 15 detenuti armeni da parte dell’Azerbaigian.